La Parola della Domenica – 17 febbraio

La Parola della Domenica – 17 febbraio

O Dio, che respingi i superbi e doni la tua grazia agli umili, ascolta il grido dei poveri e degli oppressi che si leva a te da ogni parte della terra: spezza il giogo della violenza e dell’egoismo che ci rende estranei gli uni agli altri, e fa’ che accogliendoci a vicenda come fratelli diventiamo segno dell’umanità rinnovata nel tuo amore.

Dal libro del profeta Geremìa Così dice il Signore: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno,
allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamarisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena,
non smette di produrre frutti». Parola di Dio

SALMO  Beato l’uomo che confida nel Signore.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi Fratelli, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.

+ Dal Vangelo secondo Luca In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Davanti al Vangelo delle beatitudini provo ogni volta la paura di rovinarlo con le mie parole: so di non averlo ancora capito, continua a stupirmi e a sfuggirmi. «Sono le parole più alte del pensiero umano» (Gandhi), parole di cui non vedi il fondo. Ti fanno pensoso e disarmato, riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di sincerità, di giustizia. Le sentiamo difficili eppure amiche: perché non stabiliscono nuovi comandamenti, sono invece la bella notizia che Dio regala gioia a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità. Beati: parola che mi assicura che il senso della vita è nel suo intimo, nel suo nucleo ultimo, ricerca di felicità; la felicità è nel progetto di Dio; Gesù ha moltiplicato la capacità di star bene!

Beati voi, poveri! Non beata la povertà, ma le persone: i poveri senza aggettivi, tutti quelli che l’ingiustizia del mondo condanna alla sofferenza. La parola «povero» contiene ogni uomo. Povero sono io quando ho bisogno d’altri per vivere, non basto a me stesso, mi affido, chiedo perdono, vivo perché accolto. Ci saremmo aspettati: beati perché ci sarà un capovolgimento, perché diventerete ricchi. No. Il progetto di Dio è più profondo e più delicato. Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno, già adesso, non nell’altro mondo! Beati, perché è con voi che Dio cambierà la storia, non con i potenti. Avete il cuore al di là delle cose: c’è più Dio in voi, siete come anfore che possono contenere pezzi di cielo e di futuro. Beati voi che piangete. Beati non perché Dio ama il dolore, ma perché è con voi contro il dolore; è più vicino a chi ha il cuore ferito. Un angelo misterioso annuncia a chi piange: il Signore è con te, è nel riflesso più profondo delle tue lacrime, per moltiplicare il coraggio, per farsi argine al pianto, forza della tua forza. Dio naviga in un fiume di lacrime (Turoldo): non ti salva dalle lacrime, ma nelle lacrime; non ti protegge dal pianto, ma dentro il pianto. Per farti navigare avanti. Guai a voi ricchi: state sbagliando strada. Il mondo non sarà reso migliore da chi accumula denaro; le cose sono tiranne, imprigionano il pensiero e gli affetti (ho visto gente con case bellissime vivere solo per la casa) Diceva Madre Teresa: ciò che non serve, pesa! E la felicità non viene dal possesso, ma dai volti. Se accogli le Beatitudini la loro logica ti cambia il cuore, sulla misura di quello di Dio. E possono cambiare il mondo.

Dal discorso al persona della Casa Circondariale ‘Regina Coeli’ Voi rappresentate la comunità di lavoro che si pone al servizio dei detenuti del carcere romano di “Regina Coeli”: agenti di custodia, personale amministrativo, medici, educatori, cappellani e volontari, accompagnati dai vostri familiari. Esprimo a ciascuno la riconoscenza mia e della Chiesa per il vostro lavoro (che) richiede fortezza interiore, perseveranza e consapevolezza della specifica missione alla quale siete chiamati. E ci vuole preghiera tutti i giorni perché il Signore vi dia il buon senso: il buon senso nelle diverse situazioni nelle quali vi troverete. Il carcere è luogo di pena nel duplice senso di punizione e di sofferenza, e ha molto bisogno di attenzione e di umanità. … tutti … sono chiamati al difficile compito di curare le ferite di coloro che, per errori fatti, si trovano privati della loro libertà personale. È noto che una buona collaborazione tra i diversi servizi nel carcere svolge un’azione di grande sostegno per la rieducazione dei detenuti. Tuttavia, a causa della carenza di personale e del cronico sovraffollamento, il faticoso e delicato lavoro rischia di essere in parte vanificato… figure professionali come le vostre necessitano di equilibrio personale e di valide motivazioni costantemente rinnovate; … siete chiamati … anche molto spesso a fasciare le ferite di uomini e donne che incontrate quotidianamente nei loro reparti. Nessuno può condannare l’altro per gli errori che ha commesso, né tantomeno infliggere sofferenze offendendo la dignità umana. Le carceri hanno bisogno di essere sempre più umanizzate, ed è doloroso invece sentire che tante volte sono considerate come luoghi di violenza e di illegalità, dove imperversano le cattiverie umane. Allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che molti detenuti sono povera gente, non hanno riferimenti, non hanno sicurezze, non hanno famiglia, non hanno mezzi per difendere i propri diritti, sono emarginati e abbandonati al loro destino. Per la società i detenuti sono individui scomodi, sono uno scarto, un peso. E’ doloroso questo, ma l’inconscio collettivo ci porta lì. Ma l’esperienza dimostra che il carcere, con l’aiuto degli operatori penitenziari, può diventare veramente un luogo di riscatto, di risurrezione e di cambiamento di vita; e tutto ciò è possibile attraverso percorsi di fede, di lavoro e di formazione professionale, ma soprattutto di vicinanza spirituale e di compassione, sull’esempio del buon Samaritano, che si è chinato a curare il fratello ferito. Questo atteggiamento di prossimità, che trova la sua radice nell’amore di Cristo, può favorire in molti detenuti la fiducia, la consapevolezza e la certezza di essere amati.

Inoltre, la pena, ogni pena, non può essere chiusa, deve avere sempre “la finestra aperta” per la speranza, da parte sia del carcere sia di ogni persona. Ognuno deve avere sempre la speranza del reinserimento parziale. … Una pena senza speranza non serve, non aiuta, provoca nel cuore sentimenti di rancore, tante volte di vendetta, e la persona esce peggio di come è entrata. … Nell’altra diocesi [Buenos Aires] andavo spesso al carcere; e adesso ogni quindici giorni, la domenica, faccio una telefonata a un gruppo di carcerati in un carcere che visitavo con frequenza. Sono vicino. E sempre ho avuto una sensazione quando entravo nel carcere: “perché loro e non io?”. Questo pensiero mi ha fatto tanto bene. Perché loro e non io? Avrei potuto essere lì, e invece no, il Signore mi ha dato una grazia che i miei peccati e le mie mancanze siano state perdonate e non viste, non so. Ma quella domanda aiuta tanto: perché loro e non io?

15 febbraio 2019, parrocchiadiprestino