La Parola della Domenica 5 febbraio

La Parola della Domenica 5 febbraio

O Dio, che fai risplendere la tua gloria nelle opere di giustizia e di carità, dona alla tua Chiesa di essere luce del mondo e sale della terra, per testimoniare con la vita la potenza di Cristo crocifisso e risorto.

Dal libro del profeta Isaìa Così dice il Signore: «Non consiste forse [il digiuno che voglio] nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio».
Rit: Il giusto risplende come luce.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
Dal Vangelo secondo Matteo In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».Voi siete sale, voi siete luce. Sale che conserva le cose, minima eternità disciolta nel cibo. Luce che accarezza di gioia le cose, ne risveglia colori e bellezza. Tu sei luce. Gesù lo annuncia alla mia anima bambina, a quella parte di me che sa ancora incantarsi, ancora accendersi. Tu sei sale, non per te stesso ma per la terra. La faccenda è seria, perché essere sale e luce del mondo vuol dire che dalla buona riuscita della mia avventura, umana e spirituale, dipende la qualità del resto del mondo. Come fare per vivere questa responsabilità seria, che è di tutti? Meno parole e più gesti. Che il profeta Isaia elenca, nella prima lettura di domenica: «Spezza il tuo pane», verbo asciutto, concreto, fattivo. «Spezza il tuo pane», e poi è tutto un incalzare di altri gesti: «Introduci in casa, vesti il nudo, non distogliere gli occhi. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà in fretta». E senti l’impazienza di Dio, l’impazienza di Adamo, e dell’aurora che sorge e della fame che grida; l’urgenza del corpo dell’uomo che ha dolore e ferite, ha fretta di pane e di salute. La luce viene attraverso il mio pane quando diventa nostro pane, condiviso e non possesso geloso. Il gesto del pane viene prima di tutto: perché sulla terra ci sono creature che hanno così tanta fame che per loro Dio non può che avere la forma di un pane. Guarisci altri e guarirà la tua ferita, prenditi cura di qualcuno e Dio si prenderà cura di te; produci amore e Lui ti fascerà il cuore, quando è ferito. Illumina altri e ti illuminerai, perché chi guarda solo a se stesso non s’illumina mai. Chi non cerca, anche a tentoni, quel volto che dal buio chiede aiuto, non si accenderà mai. È dalla notte condivisa che sorge il sole di tutti. «Se mi chiudo nel mio io, pur adorno di tutte le virtù, ricco di sale e di luce, e non partecipo all’esistenza degli altri, se non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati, e tuttavia vivo in una situazione di peccato». Ma se il sale perde sapore con che cosa lo si potrà rendere salato? Conosciamo bene il rischio di affondare in una vita insipida e spenta. E accade quando non comunico amore a chi mi incontra, non sono generoso di me, non so voler bene: «non siamo chiamati a fare del bene, ma a voler bene». Primo impegno vitale. Io sono luce spenta quando non evidenzio bellezza e bontà negli altri, ma mi inebrio dei loro difetti: allora sto spegnendo la fiamma delle cose, sono un cembalo che tintinna (parola di Paolo), un trombone di latta. Quando amo tre verbi oscuri: prendere, salire, comandare; anziché seguire i tre del sale e della luce: dare, scendere, servire.
LA CRUDELTA’ DISUMANA E IL MIRACOLO DEL PERDONO
Fin dal suo primo discorso a Kinshasa, Papa Francesco aveva chiesto al mondo di non chiudere gli occhi, le orecchie e la bocca di fronte a quanto accade nella Repubblica Democratica del Congo e in tutta l’Africa. Nel pomeriggio del secondo giorno di viaggio, nel salone della nunziatura apostolica, siamo stati messi di fronte a una drammatica rassegna della crudeltà disumana dei conflitti e delle violenze in corso nell’Est di questo Paese piagato da lotte etniche e territoriali, conflitti che sono legati alla proprietà terriera, odi blasfemi di chi uccide in nome di un falso dio. Un Paese piagato dalla guerra “scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e denaro”.
Solo il silenzio e le lacrime potevano accompagnare i racconti che sono stati presentati al Papa, come quello del giovane agricoltore Ladislas, che ha visto uomini vestiti da militare uccidere e fare a pezzi suo padre e rapire sua madre. Come quello di Bijoux, che nel 2020 a quindici anni mentre andava a prendere l’acqua al fiume è stata rapita da una banda di ribelli, ed è stata violentata per 19 mesi dal loro comandante. È riuscita a fuggire mentre era incinta e ora stava lì, di fronte al Successore di Pietro, insieme alle due gemelline sue figlie. Come quello di Emelda, finita ostaggio nelle mani dei ribelli un venerdì sera del 2005, sedicenne, e tenuta come schiava sessuale per tre mesi: da cinque a dieci uomini abusavano di lei ogni giorno. È stata costretta, per non finire a pezzi anche lei, a mangiare la carne degli uomini uccisi…
Solo silenzio e lacrime. Francesco era colpito e commosso. Ha ripetuto il nome di Gesù, perché “con Lui il male non ha più l’ultima parola sulla vita… Con Lui ogni tomba può trasformarsi in una culla, ogni calvario in un giardino pasquale”. Con Lui può rinascere la speranza “per chi ha subito il male e persino per chi lo ha commesso”.
Le vittime, impegnate in un cammino di perdono e riconciliazione, hanno deposto alcuni simboli della loro sofferenza – un machete, una stuoia, dei chiodi – sotto il grande Crocifisso che campeggiava a fianco del Papa. Difficile anche soltanto immaginare la possibilità del perdono, dopo aver ascoltato le loro parole e l’oceano di violenza, sofferenza e umiliazione che hanno subito. Se accade, è per pura grazia. Solo un miracolo lo può permettere. A questo miracolo, possibile per chi vive di Colui che ha fatto del sepolcro l’inizio di una storia nuova, abbiamo assistito mentre il sole calava su Kinshasa.

Una testimonianza molto forte su https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-02/papa-francesco-viaggio-apostolico-rdc-incontro-vittime-violenze.html

2 febbraio 2023, parrocchiadiprestino