La Parola della Domenica 27 novembre

La Parola della Domenica 27 novembre

Dal libro del profeta Isaìa Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme. Alla fine dei giorni,il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli,e ad esso affluiranno tutte le genti.Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra.Casa di Giacobbe,venite, camminiamo nella luce del Signore.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.
Dal Vangelo secondo Matteo In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».Al tempo di Noè gli uomini mangiavano e bevevano… e non si accorsero di nulla. Non si accorsero che quel mondo era finito. I giorni di Noè sono i giorni della superficialità: «il vizio supremo della nostra epoca». L’Avvento che inizia è invece un tempo per accorgerci. Per vivere con attenzione, rendendo profondo ogni momento. L’immagine conduttrice è Miriam di Nazaret nell’attesa del parto, incinta di Dio, gravida di luce. Attendere, infinito del verbo amare. Le donne, le madri, sanno nel loro corpo che cosa è l’attesa, la conoscono dall’interno. Avvento è vita che nasce, dice che questo mondo porta un altro mondo nel grembo; tempo per accorgerci, come madri in attesa, che germogli di vita crescono e si arrampicano in noi. Tempo per guardare in alto e più lontano. Anch’io vivo giorni come quelli di Noè, quando neppure mi accorgo di chi mi sfiora in casa e magari ha gli occhi gonfi, di chi mi rivolge la parola; di naufraghi nel Mediterraneo, di questo pianeta depredato, di missili e kamikaze. È possibile vivere senza accorgersi dei volti. Ed è questo il diluvio! Vivere senza volti: volti di popoli in guerra; di bambini vittime di violenza, di fame, di abusi, di abbandono … di carcerati nelle infinite carceri del mondo, di ammalati, di lavoratori precari, senza garanzia e speranza, derubati del loro futuro; è possibile, come allora, mangiare e bere e non accorgersi di nulla. I giorni di Noè sono i miei, quando dimentico che il segreto della mia vita è oltre me, placo la fame di cielo con larghe sorsate di terra, e non so più sognare. Se il padrone di casa sapesse … Mi ha sempre inquietato l’immagine del Signore descritto come un ladro di notte. Cerco di capire meglio: perché so che Dio non è ladro di vita. Solo pensarlo mi sembra una bestemmia. Dio viene, ma non è la morte il suo momento. Verrà, già viene, nell’ora che non immagini, cioè adesso, e ti sorprende là dove non lo aspetti, nell’ abbraccio di un amico, in un bimbo che nasce, in un’illuminazione improvvisa, in un brivido di gioia che ti coglie e non sai perché. È un ladro ben strano: è incremento d’umano, accrescimento di umanità, intensificazione di vita, Natale. Tenersi pronti non per evitare, ma per non mancare l’incontro, per non sbagliare l’appuntamento con un Dio che viene non come rapina ma come dono, come Incarnazione, «tenerezza di Dio caduta sulla terra come un bacio»
CATECHESI PAPA FRANCESCO La consolazione spirituale, luce dell’anima, ci permette “di vedere la presenza di Dio in tutte le cose”, anche nel dolore e nelle situazioni più dure, come ci insegna la “perfetta letizia” di san Francesco, consente “familiarità con Dio”, dona pace e speranza, ma necessita anch’essa di discernimento, per distinguerla dalle false consolazioni, che “portano a ripiegarsi su se stessi” e a ridurre il Signore “a un oggetto a nostro uso e consumo”. È un’esperienza di gioia interiore, che consente di vedere la presenza di Dio in tutte le cose; essa rafforza la fede e la speranza, e anche la capacità di fare il bene. La persona che vive la consolazione non si arrende di fronte alle difficoltà, perché sperimenta una pace più forte della prova. E’ “un movimento intimo, che tocca il profondo di noi stessi” e non è “appariscente ma soave, delicata, come una goccia d’acqua su una spugna”. La persona consolata “si sente avvolta dalla presenza di Dio”, che non “cerca di forzare la nostra volontà”, ma non è “un’euforia passeggera: al contrario, come abbiamo visto, anche il dolore – ad esempio per i propri peccati – può diventare motivo di consolazione”. E qui Francesco ricorda i tanti santi e sante “che hanno saputo fare grandi cose, non perché si ritenevano bravi e capaci, ma perché conquistati dalla dolcezza pacificante dell’amore di Dio”. E la pace è “stare in pace con Dio”, e quella “che prova Edith Stein dopo la conversione”. Quando parla, un anno dopo il Battesimo, di “una vita nuova” che “comincia a colmarmi” e la spinge “verso nuove realizzazioni”. Una pace “genuina”, che fa “germogliare i buoni sentimenti in noi”. La consolazione “riguarda anzitutto la speranza, è protesa al futuro, mette in cammino, consente di prendere iniziative fino a quel momento sempre rimandate”. E’ una pace – sottolinea – non per rimanere lì seduti godendola, ti dà la pace e ti attira verso il Signore e ti mette in cammino per fare cose buone”. In tempo di consolazione, quando noi siamo consolati, ci viene la voglia di fare tanto bene, sempre. Invece quando c’è il momento della desolazione, ci viene la voglia di chiuderci in noi stessi e di non fare nulla… La consolazione ti spinge avanti, al servizio degli altri, alla società, alle persone. La consolazione spirituale non è “pilotabile”, non è programmabile a piacere, è un dono dello Spirito Santo: consente una familiarità con Dio che sembra annullare le distanze. Si avverte un senso di tenerezza verso Dio, che rende audaci nel desiderio di partecipare della sua stessa vita, di fare ciò che gli è gradito, perché ci sentiamo familiari con Lui, sentiamo che la sua casa è la nostra casa, ci sentiamo accolti, amati, ristorati. Con questa consolazione “non ci si arrende di fronte alle difficoltà”. Vuol dire che la consolazione ci fa audaci: quando noi siamo in tempo di buio, di desolazione, e pensiamo: “Questo non sono capace di farlo, no…” Ti butta giù la desolazione. Tutto buio. Invece, in tempo di consolazione: “No, io vado avanti, lo faccio”. “Ma sei sicuro?” “Io sento la forza di Dio e vado avanti”. E così la consolazione ti spinge ad andare avanti e a fare delle cose che in tempo di desolazione tu non saresti capace di fare, di fare il primo passo. Il rischio, aggiunge, sono le “false consolazioni”. Qualcosa di simile “a quanto capita nelle produzioni umane: ci sono gli originali e ci sono le imitazioni”. Se la consolazione autentica è come una goccia su una spugna, è soave e intima, le sue imitazioni sono più rumorose e appariscenti, sono fuochi di paglia, senza consistenza, portano a ripiegarsi su sé stessi, e a non curarsi degli altri. La falsa consolazione alla fine ci lascia vuoti, lontani dal centro della nostra esistenza. Quando noi ci sentiamo felici, in pace, siamo capaci di fare qualsiasi cosa. Ma non confondere quella pace con un entusiasmo passeggero, perché l’entusiasmo oggi è, poi cade e non c’è più. Per questo è fondamentale il discernimento, “anche quando ci si sente consolati”. Perché “la falsa consolazione può diventare un pericolo, se la ricerchiamo come fine a sé stessa, in modo ossessivo, e dimenticandoci del Signore”. E cita san Bernardo: “si cercano le consolazioni di Dio e non si cerca il Dio delle consolazioni”. Con la dinamica del bambino di cui ha parlato nella catechesi sulla desolazione, “che cerca i genitori solo per avere da loro delle cose, ma non per loro stessi”. Anche noi corriamo il rischio di vivere la relazione con Dio in modo infantile, di ridurlo a un oggetto a nostro uso e consumo, smarrendo il dono più bello che è Lui stesso.

26 novembre 2022, parrocchiadiprestino