La Parola della Domenica 20 novembre

La Parola della Domenica 20 novembre

Dal secondo libro di Samuèle In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.Andremo con gioia alla casa del Signore.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

Dal Vangelo secondo Luca In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».Gli rispose:In verità io ti dico:oggi con me sarai nel paradisoSta morendo e lo deridono tutti: guardatelo, il re! I più scandalizzati sono i devoti osservanti: ma quale Dio è il tuo, un Dio sconfitto che ti lascia finire così? Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti: se sei il re, usa la forza! E per bocca di uno dei crocifissi ritorna anche la sfida del diavolo: se tu sei il figlio di Dio… (Lc 4,3). La tentazione che il malfattore introduce è ancora più potente: se sei il Cristo, salva te stesso e noi. È la sfida definitiva su quale Messia essere; ancora più insidiosa, ora che si aggiungono sconfitta, vergogna, strazio. Fino all’ultimo Gesù deve scegliere quale volto di Dio incarnare: quello di un messia di potere secondo le attese di Israele, o quello di un re che sta in mezzo ai suoi come colui che serve; se il messia dei miracoli e della onnipotenza, o quello della tenerezza mite e indomita. C’è un secondo crocifisso però che prova compassione per il compagno di pena, e vorrebbe difenderlo in quella bolgia, pur nella sua impotenza di inchiodato alla morte, e vorrebbe proteggerlo: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena? Una grande definizione di Dio: Dio è dentro il nostro patire, Dio è crocifisso in tutti gli infiniti crocifissi della storia, Dio che naviga in questo fiume di lacrime. Che entra nella morte perché là entra ogni suo figlio. Che mostra come il primo dovere di chi ama è di essere insieme con l’amato. Lui non ha fatto nulla di male. Che bella definizione di Gesù: niente di male, per nessuno, mai, solo bene, esclusivamente bene. E Gesù lo conferma fino alla fine, perdona i crocifissori, si preoccupa non di sé ma di chi gli muore accanto e che prima si era preoccupato di lui, instaurando tra i patiboli, sull’orlo della morte, un momento sublime di comunione. E il ladro misericordioso capisce e si aggrappa alla misericordia: ricordati di me … Gesù non solo si ricorderà, lo porterà via con sé, se lo caricherà sulle spalle, come il pastore con la pecora perduta e ritrovata, perché sia più leggero l’ultimo tratto di strada verso casa. Oggi sarai con me in paradiso: la salvezza è un regalo, non un merito. E se il primo che entra in paradiso è quest’uomo dalla vita sbagliata, che sa aggrapparsi al crocifisso amore, allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per chi riconosce Gesù come suo compagno d’amore e di pena, qualunque sia il loro passato: è questa la Buona NotiziaCATECHESI PAPA FRANCESCO La desolazione provoca uno “scuotimento dell’anima”: quando uno è triste è come se l’anima si scuotesse; mantiene desti, favorisce la vigilanza e l’umiltà e ci protegge dal vento del capriccio. Sono condizioni indispensabili per il progresso nella vita, e quindi anche nella vita spirituale. Una serenità perfetta ma “asettica”, senza sentimenti, quando diventa il criterio di scelte e comportamenti, ci rende disumani: noi non possiamo non fare caso ai sentimenti, siamo umani e il sentimento è una parte della nostra umanità. Non vivere i sentimenti rende indifferenti alla sofferenza degli altri e incapaci di accogliere la nostra, aggiunge il Pontefice, si crea come una “distanza asettica”. Questa non è vita, questo è come se noi vivessimo in un laboratorio, chiusi per non avere dei microbi, delle malattie. L’inquietudine – una sana inquietudine, un cuore inquieto e in ricerca – può essere una spinta decisiva per dare una svolta alla propria vita. … le scelte importanti hanno un prezzo da pagare con il cuore, “un prezzo della decisione, un prezzo di portare avanti un po’ di sforzo”, ma alla portata di tutti. È il prezzo che tutti paghiamo per uscire dallo stato di indifferenza, che butta giù, sempre. E poi la desolazione “è anche un invito alla gratuità “a non agire sempre e solo in vista di una gratificazione emotiva”. Essere desolati ci offre la possibilità di crescere, di iniziare una relazione più matura, più bella, con il Signore e con le persone care, una relazione che non si riduca a un mero scambio di dare e avere. Questo tipo di relazione la viviamo da bambini quando cerchiamo i nostri genitori “per ottenere da loro qualcosa”, dunque “per un interesse”, come lo sono molte nostre preghiere, “richieste di favori rivolte al Signore, senza un vero interesse nei suoi confronti”. Succedeva lo stesso a Gesù, “spesso circondato da tanta gente che lo cercava per ottenere qualcosa, guarigioni, aiuti materiali, ma non semplicemente per stare con Lui”. Stare con Gesù nella desolazione “è una maniera molto bella di entrare in una relazione vera, sincera, con la sua umanità, con la sua sofferenza, anche con la sua singolare solitudine. Con Lui, che ha voluto condividere fino in fondo la sua vita con noi”. Fa bene imparare a stare con il Signore, “senza altro scopo”. È come “con le persone a cui vogliamo bene: desideriamo conoscerle sempre più, è bello stare con loro”. La vita spirituale non è una tecnica a nostra disposizione, non è un programma di “benessere” interiore che sta a noi programmare: è la relazione con il con Dio, irriducibile alle nostre categorie. E la desolazione allora è la risposta più chiara all’obiezione che l’esperienza di Dio sia una forma di suggestione, una semplice proiezione dei nostri desideri. Perchè se l’esperienza di Dio fosse una proiezione dei nostri desideri “saremmo sempre noi a programmarla, saremmo sempre felici e contenti. Invece “chi prega si rende conto che gli esiti sono imprevedibili: succede, infatti, che “esperienze e passi della Bibbia che ci hanno spesso entusiasmato” possano non suscitare alcun trasporto e che “inaspettatamente, esperienze, incontri e letture a cui non si era mai fatto caso o che si preferirebbe evitare – come l’esperienza della croce – portano una pace immensa”. È per questo che non c’è da avere paura della desolazione, anzi bisogna “portarla avanti con perseveranza, non fuggire. E nella desolazione cercare di trovare il cuore di Cristo, trovare il Signore. E la risposta arriva, sempre”. “Di fronte alle difficoltà” non ci si deve mai scoraggiare, e la prova va affrontata “con decisione, con l’aiuto della grazia di Dio che non ci viene mai a mancare”. Quanto a quella voce insistente dentro di noi “che vuole distoglierci dalla preghiera, impariamo a smascherarla come la voce del tentatore”: occorre non lasciarsi impressionare, e anzi semplicemente, a fare “il contrario di quello che ci dice”.

17 novembre 2022, parrocchiadiprestino