La parola della domenica 10 aprile
Dal libro del profeta Isaìa Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.Il Signore Dio mi assiste,per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio,non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo,diventando simile agli uomini.Dall’aspetto riconosciuto come uomo,umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. La benedizione delle palme da cui questa domenica prende nome e la processione che abbiamo fatto vogliono evocare l’ingresso in Gerusalemme di Gesù e la folla che gli va incontro festosa e acclamante. Forse la nostra processione appare un po’ povera rispetto a ciò che dovrebbe rievocare. L’importante, tuttavia, non è prendere in mano le palme e gli ulivi e compiere qualche passo, ma esprimere la volontà di iniziare un cammino. Questa scena infatti, che vorrebbe essere di entusiasmo, non ha valore in sé: assume piuttosto il suo significato nell’insieme degli eventi successivi che culmineranno nella morte e nella risurrezione di Gesù. Contiene perciò una domanda che è anche un invito: vuoi tu muovere i passi entrando con Gesù a Gerusalemme fino al Calvario? Vuoi vedere dove finiscono i passi del tuo Dio, vuoi essere con Lui là dove Lui è? Solo così sarà tua la gioia di Pasqua. Entriamo dunque con la domenica delle Palme nella Settimana santa, chiamata anche “autentica” o “grande”. Grande perché, come dice s. Giovanni Crisostomo, “in essa si sono verificati per noi beni ineffabili: si è conclusa la lunga guerra, è stata estinta la morte, cancellata la maledizione, rimossa ogni barriera, soppressa la schiavitù del peccato. In essa il Dio della pace ha pacificato ogni cosa, sia in cielo che in terra”. Sarà dunque una settimana nella quale pregheremo e ci interrogheremo pure sulle condizioni profonde per attuare una reale pace a Gerusalemme e nel resto del mondo.
Che cosa fa Gesù quando la folla gli va incontro gridando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!”. Gesù non parla, non dice nulla, pone soltanto un gesto simbolico, ricco di significato: trova un asino e vi monta sopra. L’evangelista Giovanni annota: “Come sta scritto: Non temere, figlia di Sion! Ecco il tuo re viene, seduto sopra un puledro d’asina”. L’asino era l’animale mite che anche i primi re di Israele – Davide, Salomone – cavalcavano in tempo di pace, contrapposto al destriero e al cocchio dei tempi di guerra. Gesù fa un gesto semplicissimo per indicare il servizio umile e benevolo di cui parla anche san Paolo nella seconda lettura: “Cristo si è fatto servitore dei circoncisi in favore della veracità di Dio”. Quello di Gesù è il primo di una serie di gesti inediti, fuori dall’aspettativa della gente, che contempleremo nei giorni della settimana santa: gesti di pazienza, di inermità di fronte ai suoi persecutori, di passività, che neppure gli apostoli capiranno. Proviamo a contemplarlo così, a metterci nel suo cuore quando, arrivando a Gerusalemme sa di andare incontro alla morte e quindi tiene gli occhi fissi sul Padre, nell’unico desiderio di compiere fino in fondo la sua volontà, di adempiere le Scritture, di portare a termine, a prezzo della vita, la missione affidatagli di salvare l’umanità, di liberare il mondo dal peccato, dal male, dalla violenza. Tu entri, o Signore, nella grande città non per farti proclamare re dalla folla che, avendo saputo della risurrezione di Lazzaro, ti corre incontro nella speranza che tu possa liberare Israele dall’oppressione politica. Se ti lasci osannare dalla folla è perché hai compassione di questa gente buona e semplice, amareggiata e appesantita da una vita faticosa e vuoi aprirle un orizzonte di speranza. Entri nella città per offrirle l’alleanza definitiva, per assicurarla che Dio la ama, come una figlia: “Non temere, figlia di Sion!”. Per Gesù la città non è una realtà estranea, invivibile, dura di cuore, bensì una creatura da curare con pazienza e amabilità. E così entra oggi nella nostra città, entra in ciascuno di noi con benevolenza, fiducia, affetto, per darci vita e non per condannarci. Il suo amore è come un roveto ardente che brucia e non si consuma. Questo fa Gesù. Ricordare oggi la sua entrata in Gerusalemme vuol dunque dire lasciare al suo mistero di entrare nella nostra vita. Abbiamo riflettuto su che cosa fa Gesù, e adesso ci chiediamo: che cosa in concreto dobbiamo fare noi nei prossimi giorni? * Anzitutto siamo invitati a partecipare ai riti della Settimana santa, che hanno lo scopo di coinvolgerci profondamente, giorno per giorno, negli avvenimenti che hanno segnato l’ultimo scorcio della vita di Gesù, e di stimolarci a una comunione intima con i sentimenti da lui vissuti. * Siamo pure invitati ad accostarci al sacramento della Penitenza (o a un momento di confronto con un sacerdote) in modo che il nostro cuore sia purificato, pronto ad aprirsi al dono dell’alleanza pasquale, dell’umanità nuova. Un’umanità che diventa fonte di gioia per la città e si mette al servizio della pace, della giustizia e della verità, secondo la vera scala dei valori. * Ma c’è qualcosa di più, ed è l’imperativo espresso da s. Paolo: “accoglietevi gli uni gli altri”. Un imperativo che fa eco alla parola di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri”. La soluzione di ogni conflitto tra gruppi e mentalità diverse, all’interno della Chiesa e nel mondo, si trova nel comportamento di Cristo che ha accolto tutti per radunarci in un’unica grande famiglia di fratelli, figli dell’unico Padre. Egli è venuto nel mondo proprio per accogliere Israele e tutti i popoli della terra nel regno di Dio. Vivere da cristiani significa allora vivere accogliendoci nell’amore vicendevole, significa prepararsi alla Pasqua avendo nel cuore o ritrovando questi sentimenti. La nostra appartenenza al popolo di Dio non è un privilegio che ci separa dagli altri, bensì una sorgente di responsabilità nei confronti di tutti gli uomini che dobbiamo indistintamente accogliere come fratelli.
San Paolo conclude la sua esortazione con un augurio: “Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito santo”. È un augurio che rilanciamo a tutto il mondo: gioia e pace nella fede non sono conciliabili con le discordie e le divisioni; sono un dono che ci apre al futuro di Dio, futuro pieno di speranza fondata sulla potenza dello Spirito. È la speranza di cui abbiamo molto bisogno e ci sarà elargita abbondantemente se vivremo i misteri celebrati nella Settimana santa. Chiediamo per tutti noi in questa Eucaristia il dono della gioia e pace nella fede che prelude e ci avvicina alla luce sfolgorante della Pasqua.
O Maria, Madre di Dio e Madre nostra, noi, in quest’ora di tribolazione, ricorriamo a te. Tu sei Madre, ci ami e ci conosci: niente ti è nascosto di quanto abbiamo a cuore. Madre di misericordia, tante volte abbiamo sperimentato la tua provvidente tenerezza, la tua presenza che riporta la pace, perché tu sempre ci guidi a Gesù, Principe della pace. Accogli dunque, o Madre, questa nostra supplica. Tu, stella del mare, non lasciarci naufragare nella tempesta della guerra. Tu, arca della nuova alleanza, ispira progetti e vie di riconciliazione. Tu, “terra del Cielo”, riporta la concordia di Dio nel mondo. Estingui l’odio, placa la vendetta, insegnaci il perdono. Liberaci dalla guerra, preserva il mondo dalla minaccia nucleare. Regina del Rosario, ridesta in noi il bisogno di pregare e di amare. Regina della famiglia umana, mostra ai popoli la via della fraternità. Regina della pace, ottieni al mondo la pace. Il tuo pianto, o Madre, smuova i nostri cuori induriti. Le lacrime che per noi hai versato facciano rifiorire questa valle che il nostro odio ha prosciugato. E mentre il rumore delle armi non tace, la tua preghiera ci disponga alla pace. Le tue mani materne accarezzino quanti soffrono e fuggono sotto il peso delle bombe. Il tuo abbraccio materno consoli quanti sono costretti a lasciare le loro case e il loro Paese. Il tuo Cuore addolorato ci muova a compassione e ci sospinga ad aprire le porte e a prenderci cura dell’umanità ferita e scartata.