La Parola della Domenica 20 febbraio

La Parola della Domenica 20 febbraio

Padre clementissimo, che nel tuo unico Figlio ci riveli l’amore gratuito e universale, donaci un cuore nuovo, perché diventiamo capaci di amare anche i nostri nemici e di benedire chi ci ha fatto del male.
Dal primo libro di Samuèle In quei giorni, Saul si mosse e scese nel deserto di Zif, conducendo con sé tremila uomini scelti d’Israele, per ricercare Davide nel deserto di Zif. Davide e Abisài scesero tra quella gente di notte ed ecco, Saul dormiva profondamente tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra presso il suo capo, mentre Abner con la truppa dormiva all’intorno. Abisài disse a Davide: «Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l’inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo». Ma Davide disse ad Abisài: «Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?».
Davide portò via la lancia e la brocca dell’acqua che era presso il capo di Saul e tutti e due se ne andarono; nessuno vide, nessuno se ne accorse, nessuno si svegliò: tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore. Davide passò dall’altro lato e si fermò lontano sulla cima del monte; vi era una grande distanza tra loro. Davide gridò: «Ecco la lancia del re: passi qui uno dei servitori e la prenda! Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore».
Il Signore è buono e grande nell’amore.

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi Fratelli, il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste.

Dal Vangelo secondo Luca In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Gesù ha appena proiettato nel cielo della pianura umana il sogno e la rivolta del Vangelo. Ora pronuncia il primo dei suoi “amate”. Amate i vostri nemici. Lo farai subito, senza aspettare; non per rispondere ma per anticipare; non perché così vanno le cose, ma per cambiarle. La sapienza umana però contesta Gesù: amare i nemici è impossibile. E Gesù contesta la sapienza umana: amatevi altrimenti vi distruggerete. Perché la notte non si sconfigge con altra tenebra; l’odio non si batte con altro odio sulle bilance della storia. Gesù vuole eliminare il concetto stesso di nemico. Tutti attorno a noi, tutto dentro di noi dice: fuggi da Caino, allontanalo, rendilo innocuo. Poi viene Gesù e ci sorprende: avvicinatevi ai vostri nemici, e capovolge la paura in custodia amorosa, perché la paura non libera dal male. E indica otto gradini dell’amore, attraverso l’incalzare di verbi concreti: quattro rivolti a tutti: amate, fate, benedite, pregate; e quattro indirizzati al singolo, a me: offri, non rifiutare, da’, non chiedere indietro. Amore fattivo quello di Gesù, amore di mani, di tuniche, di prestiti, di verbi concreti, perché amore vero non c’è senza un fare. Offri l’altra guancia, abbassa le difese, sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da difendere, neppure te stesso, e l’altro capirà l’assurdo di esserti nemico. Offri l’altra guancia altrimenti a vincere sarà sempre il più forte, il più armato, e violento, e crudele. Fallo, non per passività morbosa, ma prendendo tu l’iniziativa, riallacciando la relazione, facendo tu il primo passo, perdonando, ricominciando, creando fiducia. «A chi ti strappa la veste non rifiutare neanche la tunica», incalza il maestro, rivolgendosi a chi, magari, non possiede altro che quello. Come a dire: da’ tutto quello che hai. La salvezza viene dal basso! Chi si fa povero salverà il mondo con Gesù. Via altissima. Il maestro non convoca eroi nel suo Regno, né atleti chiamati a imprese impossibili. Ecco il regalo di questo Vangelo: come volete che gli uomini facciano a voi così anche voi fate a loro. Ciò che desiderate per voi fatelo voi agli altri: prodigiosa contrazione della legge, ultima istanza del comandamento è il tuo desiderio. Il mondo che desideri, costruiscilo. «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo». Ciò che desideri per te, che ti tiene in vita e ti fa felice, questo tu darai al tuo compagno di strada, oltre l’eterna illusione del pareggio tra dare e avere. È il cammino dell’umana perfezione. Legge che allarga il cuore, misura traboccante che versa gioia nel grembo della vita.
Era l’ottobre del 2020, Luca era stato insignito del Premio internazionale Nasiriyah per la pace. Un riconoscimento per il suo impegno «volto alla salvaguardia della pace tra i popoli e per aver contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari distinguendosi per l’altruismo, la dedizione e lo spirito di servizio a sostegno delle persone in difficoltà ». Aveva tenuto un breve discorso a braccio, uno degli ultimi pronunciati pubblicamente, per raccontare il suo lavoro in quella terra, l’Africa, la Repubblica Democratica del Congo, così bisognosa di pace. Quelle parole rimangono oggi come una sorta di “testamento morale”, che racchiude tutta l’essenza del suo essere uno spirito libero, che racconta meglio di qualsiasi altra cosa chi era davvero Luca l’ambasciatore.

Il Congo è una realtà così lontana da quella che conosciamo che è davvero difficile farvi capire cos’è se non la si vive. Mi hanno chiesto: cosa lascerà il Covid nelle nostre vite una volta finita l’emergenza? A mio parere è un trauma che fa riflettere e che fa nascere cose straordinarie. Non so esattamente cosa lascerà il Covid-19, ma penso che lascerà una riflessione intorno a cosa sia essenziale nella vita, a cosa resta, a cosa diamo per scontato. E su questo dovremo costruire il futuro. In Congo tante di quelle cose che diamo per scontate, anzitutto la pace, la salute o l’istruzione, lì non lo sono. Anzi, sono un privilegio per pochissimi. Pace, famiglia e solidarietà sono le tre parole chiave. Il Congo ha così sete di pace che sta combattendo per mantenerla e che si è conquistata con tre guerre. Ma è un gigante dai piedi fragili, con vicini importanti e che vive in una situazione difficile, faticosa per la popolazione, soprattutto nell’est del Paese. Tanti sono gli appelli internazionali affinché possa veramente esserci la pace in quelle regioni. E il ruolo dell’ambasciata qual è in tutto questo? Anzitutto stare vicino agli italiani che sono in Congo. Siamo circa un migliaio. La maggior parte missionari, membri della Chiesa e quindi missionari per vocazione, ma ci sono anche dei laici che dedicano la vita agli altri. Ci sono medici che hanno lasciato tutto e vivono con 80 dollari al mese in spirito di servizio per insegnare a operare nel settore ginecologico, formando ragazze nella foresta. La mia attività istituzionale è ben poca cosa rispetto a ciò che tanti connazionali fanno lì. La seconda parte è la famiglia: io e mia moglie abbiamo tre bambine. E quando dico che viviamo in Congo tutti sono stupiti. Anche tanti nostri connazionali ci dicono: «Ma come? È pericoloso!». Bisogna partire dal presupposto che fare l’ambasciatore è un po’ come una missione: secondo me quando sei un rappresentante delle istituzioni hai il dovere morale di dare l’esempio. Quante famiglie in Congo crescono i loro figli? E quindi mia moglie ha deciso che bisogna essere ambasciatori e rappresentanti dello Stato, insieme. Quindi viviamo lì e insieme rappresentiamo lo Stato in tutte le sue varie forme. E in questo entra la solidarietà. Mia moglie Zakia vedendo questo problema immenso dei bambini di strada – sono 30-40mila che vivono con vari escamotage, senza una sistemazione – ha deciso di fondare una ong, “Mama Sofia”, per aiutarli facendo leva sui nostri contatti e cercando di accompagnare ragazze madri e bambini abbandonati verso la speranza di una vita migliore. Il Congo vissuto dall’ambasciatore italiano è questo e tanto altro: è complesso, difficile da spiegare e da raccontare, però nel contempo è affascinante, perché è profondamente diverso dalla vita che viviamo a casa nostra, in Italia. Ringrazio dunque per questo premio che mi spingerà a portare avanti, ancora di più, la nostra missione diplomatica sul campo con ancora maggiore attenzione, specie per chi ha bisogno.

17 febbraio 2022, parrocchiadiprestino