La Parola della Domenica 31 ottobre

La Parola della Domenica 31 ottobre

O Padre, tu sei l’unico Signore e non c’è altro dio all‘infuori di te:donaci la grazia dell’ascolto, perché i cuori, i sensi e le menti si aprano al comandamento dell’amore.

Dal libro del Deuteronòmio Mosè parlò al popolo dicendo: «Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore».

Rit: Ti amo, Signore, mia forza.

 

Dalla lettera agli Ebrei Fratelli, [nella prima alleanza] in gran numero sono diventati sacerdoti, perché la morte impediva loro di durare a lungo. Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore. Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte,offrendo se stesso. La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.

Dal Vangelo secondo Marco In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: Qual è il primo di tutti i comandamenti?. Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno diDio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Amerai Dio con tutto il tuo cuore. Amerai il prossimo tuo come te stesso. Che cosa c’è al centro della fede? Ciò che più di ogni cosa dona felicità all’uomo: amare. Non obbedire a regole né celebrare riti, ma semplicemente, meravigliosamente: amare. Gesù non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla legge antica: il primo e il secondo comandamento sono già nel Libro. Eppure il suo è un comando nuovo. La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l’unico comandamento. L’averli separati è l’origine dei nostri mali. La risposta di Gesù inizia con la formula: shemà Israel, ascolta popolo mio. Fa tenerezza un Dio che chiede: «Ascoltami, per favore. Voglimi bene, perché io ti amo. Amami!» Invocazione, desiderio di Dio. Cuore del comandamento, sua radice è un’invocazione accorata, non una ingiunzione. Dio prega di essere amato. Amare «è tenere con tenerezza e passione Dio e l’uomo dentro di sé: se uno ama, l’altro è come se dimorasse dentro di lui» (A. Casati). Amare è desiderio di fare felice qualcuno, coprirlo di un bene che si espande oltre lui, va verso gli altri, inonda il mondo… Amare è avere un fuoco nel cuore. Ma amare che cosa? Amare l’Amore stesso. Se amo Dio, amo ciò che lui è: vita, compassione, perdono, bellezza. Amerò ogni briciola di cosa bella che scoprirò vicino a me, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante, un’intuizione illuminante, un angolo di armonia. Amerò ciò che Lui più ama: l‘uomo, di cui è orgoglioso. Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente, cuore, mente, anima, forza. Gesù sa che fare questo è già la guarigione dell’uomo. Perché chi ama così ritrova l’unità di se stesso, la sua pienezza felice: «Questi sono i comandi del Signore vostro Dio… Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica; perché tu sia felice. Non c’è altra risposta al desiderio profondo di felicità dell’uomo, nessun’altra risposta al male del mondo che questa soltanto: amare. Ama il tuo prossimo come te stesso. Quasi un terzo comandamento: ama anche te stesso, insieme a Dio e al prossimo. Come per te ami libertà e giustizia così le amerai anche per tuo fratello, sono le orme di Dio. Come per te desideri amicizia e dignità, e vuoi che fioriscano talenti e germogli di luce, questo vorrai anche per il tuo prossimo. Ama questa polifonia della vita, e farai risplendere l’immagine di Lui che è dentro di te. Perché l’amore trasforma, ognuno diventa ciò che ama. Se Lo amerai, sarai simile a Lui, cioè creatore di vita, perché «Dio non fa altro che questo, tutto il giorno: sta sul lettuccio della partoriente e genera» (M. Eckhart). Amerai, perché l’amore genera vita sul mondo.

Erano otto fratellini, dagli otto anni ai diciotto mesi, nati uno in fila all’altro come accadeva cento anni fa nelle nostre campagne. Attorno, Kabul: l’arrivo dei taleban, gli arresti, le fughe, le vendette. Il padre e la madre di quegli otto, un giorno, non sono tornati. Morto il padre, della madre malata di cuoree ricoverata non si conosce il destino Li hanno trovati in casa, rannicchiati a terra, abbracciatiÈ terribile immaginare le ore di attesa vana in quella casa, quando scendeva la notte, e né il padre né la madre tornavano. Sussultavano forse, i bambini, ai passi che sfioravano la porta – ma poi si allontanavano. Forse il fratello maggiore avrà cercato di mendicare nelle vie di quartiere, di portare a casa qualche spicciolo? Ben duro mendicare, in una folla che fatica a sfamare i propri figli. Comunque quel fratello è poi tornato, perché sono stati trovati tutti assieme, stretti l’uno all’altro. Quel grappolo di bambini abbandonati e inerti sono un drammatico segnale di ciò che sarà l’inverno in una Kabul devastata. Almeno 5 milioni di bambini afghani, secondo le Agenzie internazionali, sono a rischio carestia. Dalle foto scattate negli ospedali la vedi già, sulle facce dei piccoli malati, l’ombra della carestia: hanno visi scavati e occhiaie profonde in cui spiccano, più grandi, gli occhi scuri, quasi meravigliati – loro, innocenti – di tanta fame e sofferenza. Agnelli, docili al loro destino. Ma questa ‘piccola’ strage senza bombe in una stanza dimenticata della capitale afghana segnala un’altra cosa, grave quanto la fame. C’era una casa piena di bambini affamati, possibile non abbiano bussato alle porte dei vicini? Possibile che non una donna, non un padre si sia accorto di quegli orfani? raccontano che per qualche tempo vicini pietosi se ne sono occupati, poi la situazione è diventata insostenibile per tutti e anche la pietà è diventata introvabile come il pane da dividere. Otto bambini lasciati morire di fame nel mezzo di una città: non pare il segno di una trama sociale lacerata, di un vivere insieme ridotto dalla paura e dalla violenza a uno stato primitivo, in cui si bada alla propria tribù e a nient’altro? (Perfino, afferma un servizio della Bbc, c’è chi vende una figlia bambina per 500 euro: per sfamare almeno gli altri). Se è possibile che quegli otto siano stati lasciare morire di stenti mentre la città attorno viveva la sua pure povera vita, lo sfacelo a Kabul è peggio di ciò che vediamo sul web: è un male che cambia gli sguardi, e indurisce, e dispera. Da noi, intanto, approssimandosi novembre si comincia a sentire un lontano odore di Natale. timidamente ci rallegriamo che Natale torni, dopo questi due dolorosi anni. In questa promessa lieta, e nella folla dei centri commerciali traboccanti di cibo e merci, ci restino però in mente quei fratelli di Kabul, che aspettavano. Pensiamoci, nei giorni delle feste che verranno. Un dono anche per i bambini di Kabul – che, dicono le infermiere in ospedale, raccolgono e mangiano, come passeri, le briciole del pane.

29 ottobre 2021, parrocchiadiprestino