La Parola della Domenica 12 settembre

La Parola della Domenica 12 settembre

O Padre,che conforti i poveri e i sofferenti e tendi l’orecchio ai giusti che ti invocano, assisti la tua Chiesa che annuncia il Vangelo della croce, perché creda con il cuore e confessi con le opere che Gesù è il Messia.

Dal libro del profeta Isaìa Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia fac
cia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me.
Ecc
o, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?

Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.

 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».

Dal Vangelo secondo Marco In quel tempo, Gesù partì con i suoidiscepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa ealtri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. Silenzio, solitudine, preghiera: è un momento carico della più grande intimità per questo piccolo gruppo di uomini. E i discepoli erano con lui… Intimità tra loro e con Dio. È una di quelle ore speciali in cui l’amore si fa come tangibile, lo senti sopra, sotto, intorno a te, come un manto luminoso; momenti in cui ti senti «docile fibra dell’universo». In quest’ora importante, Gesù pone una domanda decisiva, qualcosa da cui poi dipenderà tutto: fede, scelte, vita… ma voi, chi dite che io sia? Gesù usa il metodo delle domande per far crescere i suoi amici. Le sue domande sono scintille che accendono qualcosa, che mettono in moto cammini e crescite. Gesù vuole i suoi poeti e pensatori della vita. «La differenza profonda tra gli uomini non è tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti» La domanda inizia con un “ma”, ma voi, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Non accontentatevi di una fede “per sentito dire”, per tradizione. Ma voi, voi con le barche abbandonate, voi che avete camminato con me per tre anni, voi miei amici, che ho scelto a uno a uno, chi sono io per voi? E lo chiede lì, dentro il grembo caldo dell’amicizia, sotto la cupola d’oro della preghiera. Una domanda che è il cuore pulsante della fede: chi sono io per te? Non cerca parole, Gesù, cerca persone; non definizioni di sé ma coinvolgimenti con sé: che cosa ti è successo quando mi hai incontrato? Assomiglia alle domande che si fanno gli innamorati: – quanto posto ho nella tua vita, quanto conto per te? E l’altro risponde: tu sei la mia vita. Sei la mia donna, il mio uomo, il mio amore. Gesù non ha bisogno della opinione di Pietro per avere informazioni, per sapere se è piùbravo dei profeti di prima, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio. Può fare grande o piccolo l’Immenso. Perché l’Infinito è grande o piccolo nella misura in cui tu gli fai spazio in te, gli dai tempo e cuore. Cristo non è ciò che dico di Lui ma ciò che vivo di Lui. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me. La verità è ciò che arde (Ch. Bobin). Mani e parole e cuore che ardono. In ogni caso, la risposta a quella domanda di Gesù deve contenere, almeno implicitamente, l’aggettivo possessivo “mio”, come Tommaso a Pasqua: Mio Signore e mio Dio. Un “mio” che non indichi possesso, ma passione; non appropriazione ma appartenenza: mio Signore. Mio, come lo è il respiro e, senza, non vivrei. Mio, come lo è il cuore e, senza, non sarei.

Gentile direttore, la nostra comunità, nella diocesi di Forlì-Bertinoro, sta vivendo un momento particolare di grazia per la situazione e la testimonianza di nostri sacerdoti: don Tedaldo Naldi, 85 anni, da tempo molto malato e sofferente, che spesso concelebra la Messa con don Marcello Vandi, 87 anni, missionario fidei donum per oltre 30 anni in Venezuela e ora in pensione e malato nel suo paese natale, Rocca. Gli anni e la malattia hanno segnato il corpo e la mente, il corpo ha perso vigore e la mente a volte la sua lucidità. Ma resta intatto ciò che sono e rappresentano, ciò che benedicono, ciò che consacrano, le omelie magari stanche ma ancora pungenti e la dedizione e fedeltà di una vita intera alla propria missione. E fa tenerezza vederli all’altare a concelebrare con passo incerto, la voce flebile aiutandosi l’un l’altro, l’uno indicando all’altro cosa fare in un momento di smarrimento e l’altro a cercare di sorreggere la fatica di alzarsi dalla seggiola divenuta ormai compagna per gran parte della celebrazione eucaristica. È la Chiesa della fragilità, della finitezza che è destino di ciascuno e ci mette di fronte a ciò che cerchiamo di eludere nel nostro vivere quotidiano. È il Vangelo che si fa storia nella nostra provvisorietà, nei nostri bisogni, nel nostro cammino, nella sera che cala tenera e anche faticosa, e raccoglie i sogni e le speranze di una vita intera. È l’attesa del Mistero e di un Incontro, e la nostra fragilità, a volte, parla più di una dotta e ricercata omelia perché è solo ciò che è vissuto che si fa storia e racchiude per intero il nostro destino. Ci godiamo quindi questa tenerezza per il tempo che Dio vorrà, guardando a ciò che è grande in quello che ci può apparire fragile e povero.

A SAN GIUSEPPE Salve, custode del Redentore, e sposo dellaVergine Maria. A te Dio affidò il suo Figlio; in te Maria ripose la sua fiducia; con te Cristo diventò uomo. O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienicigrazia, misericordia e coraggio, e difendici da ogni male. Amen.  

IN PREPARAZIONE B.V.M. ADDOLORATA Il senso del tuo soffrire, o Maria, è dunque la generazione di un popolo di credenti.
Tu nel Sabato Santo ci stai davanti come madre amorosa che genera i suoi figli a partire dalla croce, intuendo
che né il tuo sacrificio né quello del Figlio sono vani. Se lui ci ha amato e ha dato se stesso per noi, se il Padre non lo ha risparmiato, ma lo ha consegnato per tutti noi, tu hai unito il tuo cuore materno all’infinita carità di Dio con la certezza della sua fecondità. Ne è nato un popolo, “una moltitudine immensa… di ogni nazione, razza, popolo e lingua”; il discepolo prediletto che ti è stato affidato ai piedi della croce ( Gv 19,26) è il simbolo di questa moltitudine. La consolazione con la quale Dio ti ha sostenuto nel Sabato santo, nell’assenza di Gesù e nella dispersione dei suoi discepoli, è una forza interiore di cui non è necessario essere coscienti, ma la cui presenza ed efficacia si misura dai frutti, dalla fecondità spirituale. E noi, qui e ora, o Maria, siamo i figli della tua sofferenza.

11 settembre 2021, parrocchiadiprestino