La Parola della Domenica 25 aprile

La Parola della Domenica 25 aprile

Dagli Atti degli Apostoli In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quandoegli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Dal Vangelo secondo Giovanni In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Io sono il buon pastore! Per sette volte: “Io sono” pane, vita, strada, verità, vite, porta, pastore buono. E non intende “buono” nel senso di paziente e delicato con pecore e agnelli; non un pastore, ma il pastore, quello vero, l’autentico. Non salariato mal’unico che mette sul piatto la sua vita. Sono il pastore bello dice,letteralmente. E noi capiamo che la sua bellezza non sta nell’aspetto, ma nel suo rapporto bello con il gregge, espresso con un verbo alto: io offro! Io non domando, dono. Io non pretendo,regalo. Qual è il contenuto di questo dono? Il massimo possibile: “Io offro la vita”. Molto di più che pascoli e acqua, infinitamente di più che erba e ovile sicuro. Il pastore è vero perché compie il gesto più regale e potente: dare, offrire, donare, gettare sulla bilancia la propria vita. Ecco il Dio-pastore che non chiede, offre; non prende niente e dona il meglio; non toglie vita ma dà la sua vita anche a coloro che gliela tolgono. Cerco di capire di più: con le parole “io offro la vita” Gesù non si riferisce al suo morire, quel venerdì, inchiodato a un legno. “Dare la vita” è il mestiere di Dio, il suo lavoro, la sua attività inesausta, inteso al modo delle madri, al modo della vite che dà linfa ai tralci, della sorgente che zampilla acqua viva, del tronco d’olivo che trasmette potenza buona al ramo innestato. Da lui la vita fluisce inesauribile, potente, illimitata. Il mercenario, il pecoraio, vede venire il lupo e fugge perché non gli importa delle pecore. Al pastore invece importano, io gli importo: essere importanti per qualcuno! E mi commuove immaginare la sua voce che mi assicura: io mi prenderò cura della tua felicità. E qui la parabola, la similitudine del pastore bello si apre su di un piano non realistico, spiazzante, eccessivo: nessun pastore sulla terra è disposto a morire per le sue pecore; a battersi sì, ma a morire no; è più importante salvare la vita che il gregge; perdere la vita è qualcosa di irreparabile. E qui entra in gioco il Dio di Gesù, il Dio capovolto, il nostro Dio differente, il pastore che per salvare me, perde se stesso. L’immagine del pastore si apre su uno di quei dettagli che vanno oltre gli aspetti realistici della parabola: feritoie che aprono sulla eccedenza di Dio, sul “di più” che viene da lui, suun Dio più grande del nostro cuore. Di questo Dio io mi fido, a lui mi affido, credo in lui come un bambino e vorrei mettergli fra le mani tutti gli agnellini del mondo.
PREGARE IN COMUNIONE CON I SANTI quando preghiamo, non lo facciamo mai da soli: siamo immersi in un fiume maestoso di invocazioni che ci precede e che prosegue dopo di noi. Nelle preghiere che troviamo nella Bibbia, e che spesso risuonano nella liturgia, c’è la traccia di antiche storie, di prodigiose liberazioni, di deportazioni e tristi esili, di commossi ritorni, di lodi sgorgate davanti alle meraviglie del creato… Nessuno può staccarsi dalla propria storia, dalla storia del proprio popolo, sempre nelle abitudini portiamo questa eredità e anche nella preghiera. Le preghiere sono “diffusive”, si propagano in continuazione, con o senza messaggi sui “social”: dalle corsie di ospedale, dai momenti di ritrovo festoso come da quelli in cui si soffre in silenzio… Il dolore di ciascuno è il dolore di tutti, e la felicità di qualcuno si travasa nell’animo di altri. Il dolore e la felicità, fanno parte dell’unica storia: sono storie che si fanno storia nella propria vita. Si rivive la storia con le proprie parole, ma l’esperienza è la stessa. Le preghiere rinascono sempre: ogni volta che congiungiamo le mani e apriamo il cuore a Dio, ci ritroviamo in una compagnia di santi anonimi e di santi riconosciuti che con noi pregano, e che per noi intercedono, come fratelli e sorelle maggiori transitati per la nostra stessa avventura umana. Nella Chiesa non c’è un lutto che resti solitario, non c’è lacrima che sia versata nell’oblio, perché tutto respira e partecipa di una grazia comune. Non è un caso che nelle antiche chiese le sepolture fossero proprio nel giardino intorno all’edificio sacro, come a dire che ad ogni Eucaristia partecipa in qualche modo la schiera di chi ci ha preceduto. Ci sono i nostri genitori e i nostri nonni, ci sono i padrini e le madrine, ci sono i catechisti e gli altri educatori… I santi sono ancora qui, non lontani da noi; e le loro raffigurazioni nelle chiese evocano quella “nube di testimoni” che sempre ci circonda. Il Santo ti fa ricordare Gesù Cristo perché ha percorso il cammino della vita come cristiano. I Santi ci ricordano che anche nella nostra vita, pur debole e segnata dal peccato, può sbocciare la santità. La santità è un percorso di vita, di incontro con Gesù, sia lungo sia breve, sia in un istante, ma sempre è una testimonianza. Un Santo è la testimonianza di un uomo o una donna che ha incontrato Gesù e che ha seguito Gesù. Non è mai troppo tardi per convertirsi al Signore, che è buono e grande nell’amore. Lintercessione dei santi è il più alto servizio che rendono al disegno di Dio. Possiamo e dobbiamo pregarli di intercedere per noi e per il mondo intero». In Cristo c’è una solidarietà tra quanti sono passati all’altra vita e noi pellegrini in questa: i nostri cari defunti, dal Cielo continuano a prendersi cura di noi. Questo legame di preghiera fra noi e i Santi lo viviamo già qui, nella vita terrena: preghiamo gli uni per gli altri, domandiamo e offriamo preghiere… Il primo modo di pregare per qualcuno è parlare a Dio di lui o di lei. Se facciamo questo il nostro cuore non si chiude, rimane aperto ai fratelli. Pregare per gli altri è il primo modo di amarli e ci spinge alla vicinanza concreta. Anche nei momenti di conflitti, un modo di sciogliere il conflitto, di ammorbidirlo, è pregare per la persona con la quale io sono in conflitto. E qualcosa cambia con la preghiera. La prima cosa che cambia è il mio cuore, è il mio atteggiamento. Il Signore lo cambia per rendere possibile un incontro, un nuovo incontro ed evitare che il conflitto divenga una guerra senza fine. Il primo modo per affrontare un tempo di angustia è quello di chiedere ai fratelli, ai santi soprattutto, che preghino per noi. Il nostro nome è quellodella Vergine o di un Santo/a che non aspettano altro che di “darci una mano” nella vita, di darci una mano per ottenere da Dio le grazie di cui abbiamo più bisogno. Se nella nostra vita le prove non hanno superato il colmo, se ancora siamo capaci di perseveranza, se malgrado tutto andiamo avanti con fiducia, forse tutto questo, più che ai nostri meriti, lo dobbiamo all’intercessione di tanti santi, alcuni in Cielo, altri pellegrini come noi sulla terra, che ci hanno protetto e accompagnato perché tutti sappiamo che qui sulla terra c’è gente santa, uomini e donne santi che vivono in santità.

23 aprile 2021, parrocchiadiprestino