La Parola della Domenica 7 marzo

La Parola della Domenica 7 marzo

Dal libro dell’Èsodo In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dèi di fronte a me.
Non pronuncerai invano il
nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio.
No
n ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

RIT: Signore, tu hai parole di vita eterna

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Dal Vangelo secondo Giovanni Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.
L’episodio della cacciata dei mercanti nel tempio si è stampato così prepotentemente nella memoria dei discepoli da essere riportato da tutti i Vangeli. Ciò che sorprende, e commuove, in Gesù è vedere come in lui convivono e si alternano, come in un passo di danza, la tenerezza di una donna innamorata e il coraggio di un eroe, con tutta la passione e l’irruenza del mediorientale. Gesù entra nel tempio: ed è come entrare nel centro del tempo e dello spazio. Ciò che ora Gesù farà e dirà nel luogo più sacro di Israele è di capitale importanza: ne va di Dio stesso. Nel tempio trova i venditori di animali: pecore, buoi e mercanti sono cacciati fuori, tutti insieme, eloquenza dei gesti. Invece ai venditori di colombe rivolge la parola: la colomba era l’offerta dei poveri, c’è come un riguardo verso di loro. Gettò a terra il denaro, il Dio denaro, l’idolo mammona innalzato su tutto, insediato nel tempio come un re sul trono, l’eterno vitello d’oro. Non fate della casa del Padre mio un mercato… Mi domando qual è la vera casa del padre. Una casa di pietre? «Casa di Dio siamo noi se custodiamo libertà e speranza» (Eb 3,6). La parola di Gesù allora raggiunge noi: non fate mercato della persona! Non comprate e non vendete la vita, nessuna vita, voi che comprate i poveri, i migranti, per un paio di sandali, o un operaio per pochi euro. Se togli libertà, se lasci morire speranze, tu dissacri e profani il più vero tabernacolo di Dio. E ancora: non fate mercato della fede. Tutti abbiamo piazzato ben saldo nell‘anima un tavolino di cambiamonete con Dio: io ti do preghiere, sacrifici e offerte, tu in cambio mi assicuri salute e benessere, per me e per i miei. Fede da bottegai, che adoperano con Dio la legge scadente, decadente del baratto, quasi che quello di Dio fosse un amore mercenario. Ma l’amore, se è vero, non si compra, non si mendica, non si finge. Dio ha viscere di madre: una madre non la puoi comprare, non la devi pagare, da lei sei ripartorito ogni giorno di nuovo. Un padre non si deve placare con offerte o sacrifici, ci si nutre di ogni suo gesto e parola come forza di vita. Pochi minuti dopo, i mercanti di colombe avevano già rimesso in fila le loro gabbie, i cambiamonete avevano recuperato dal selciato anche l’ultimo spicciolo. Il denaro era pesato e contato di nuovo, era riciclato a norma di legge. Benedetto da tutti: pellegrini, sacerdoti, mercanti e mendicanti. Il gesto di Gesù sembra non avere conseguenze immediate, ma è profezia in azione. E il profeta ama la parola di Dio più ancora dei suoi risultati. Il profeta è il custode che veglia sulla feritoia per la quale entrano nel cuore speranza e libertà. Chi vuole pagare l’amore va contro la sua stessa natura e lo tratta da prostituta. Quando i profeti parlavano di prostituzione nel tempio, intendevano questo culto, tanto pio quanto offensivo di Dio, quando il fedele vuole gestire Dio: io ti do preghiere e sacrifici, tu mi dai sicurezza e salute. L’amore non si compra, non si mendica, non si impone, non si finge. Ma poi, se entrasse nella mia casa, che cosa mi chiederebbe di rovesciare in terra, tra i miei piccoli o grandi idoli? Tutto il superfluo…

PREGHIAMO PER IL PAPA IN IRAQ: «Applaudite, cantate e gioite, tutti voi che avete il desiderio di vedere papa Francesco». Un desiderio che Louis Climis, da anni attaché commerciale presso l’ambasciata francese a Baghdad, ha coltivato come un riscatto. «Quel giorno, il 31 ottobre del 2010, ha cambiato la mia opinione sulla vita: non solo sulla mia vita spirituale o ecclesiale, ma anche su quella politica e sociale», ti dice mentre si assesta la mascherina sopra il naso con gli occhi lucidi. Louis, una settantina d’anni, sposato con tre figlie e quattro nipoti, è suddiacono della chiesa di Nostra Signora del perpetuo soccorso. Era sull’altare quando, quella notte maledetta della vigilia di Ognissanti del 2010, i terroristi armati entrarono nella chiesa siro-cattolica. «Mi tolsi subito i paramenti e cercai di andare verso l’uscita per capire cosa stava succedendo, ed eventualmente iniziare una trattativa con chi ci voleva assalire». Non ne ebbe il tempo: gli spari uccisero sull’altare padre Tahir Saad che stava celebrando, mentre padre Wassim Sabih tentò inutilmente una mediazione con il manipolo jihadista. Fra i banchi dei fedeli o vicino alle porte rimasero a terra più di 50 vittime. I martiri di Ognissanti. «Restai tre ore chiuso in sacrestia, sentendo urlare Allah Akbar, mentre con mio figlio Raby al mio fianco, ho visto Dahut Bejo morire dissanguato recitando il rosario». La pacatezza di Louis è intrisa di sopportazione, con il timpano destro lesionato e piccole schegge di granata ancora conficcate nel cuoio capelluto. Fino a tre anni fa presidente del consiglio diocesano sirocattolico, e attivista politico, oltre che commentatore sul quotidiano al-Zaman, non esita nonostante l’allure da diplomatico, a definirsi un «rivoluzionario». «Basta delegare ad altri le decisioni, basta far decidere nella Chiesa e nella politica solo a chi sta in alto », afferma con il tono di voce in crescendo. Cita il Vaticano II, con le sue aspirazioni a un nuovo ruolo del laicato. Ma la partita, per i pochi cristiani – circa 500mila si stima rimasti nel Paese – che come lui hanno deciso di non andarsene, è a tutto campo: «Il Papa è venuto a dirci che è il grande padre di tutti i cristiani dell’Iraq. E noi cristiani, come le altre minoranze, abbiamo bisogno di libertà nella società irachena». A una manciata di chilometri, in una Baghdad semi deserta e con un posto di blocco ogni 400 metri, piazza Tahrir è presidiata da agenti in assetto antisommossa, a distanza di dieci metri l’uno dall’altro. Il coprifuoco totale dal venerdì alla domenica per il coronavirus, ha fatto abbassare tutte le saracinesche dei negozi, e rende spettrali i grandi viali dove circolano pochissime auto. Per due anni la rabbia contro la corruzione della classe politica è scesa giorno e notte in piazza Tahrir – pagando più di mille morti alla repressione – fino a costringere il governo a dimettersi, con il premier ad interim Mustafà Khadami chiamato a traghettare l’Iraq ad elezioni anticipate. Ma già posticipate da giugno a ottobre. Intanto alla cattedrale di Nostra Signora del perpetuo soccorso per entrare nel cortile si deve bussare forte al portone blindato, contornato dal muraglione in cemento armato con il filo spinato sopra. Le bandiere bianche e gialle sono accomodate su una poltrona in una saletta del vescovado: «Le mettiamo all’ultimo momento, potrebbero strapparle », ti dicono. Sul murales con il volto di Jorge Bergoglio sorridente proprio di fronte alla cattedrale, si legge: «Lunga vita, papa Francesco». Cosa mi aspetto da questa visita? «Pace e speranza. E la fine della guerra tra i partiti», confida il vecchio Samir sorridendo, mentre chiude il portone della cattedrale dei martiri di Ognissanti.

5 marzo 2021, parrocchiadiprestino