La Parola della Domenica 28 febbraio

La Parola della Domenica 28 febbraio

Dal libro della Gènesi In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».

Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!

Dal Vangelo secondo Marco In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Il monte della luce, collocato a metà del racconto di Marco, è lo spartiacque della ricerca su chi è Gesù. Come in un dittico, la prima parte del suo libretto racconta opere e giorni del Messia, la seconda parte, a partire da qui, disegna il volto altro del “Figlio di Dio”: vangelo di Gesù, il Cristo, il figlio di Dio. Il racconto è tessuto ad arte con i fili dorati della lingua dell’Esodo, monte, nube, voce, Mosè, splendore, ascolto, cornice di rivelazioni. Nuovo invece è il grido entusiasta di Pietro: che bello qui! Esperienza di bellezza, da cui sgorga gioia senza interessi. Marco sta raccontando un momento di felicità di Gesù che contagia i suoi. A noi che il fariseismo eterno ha reso diffidenti verso la gioia, viene proposto un Gesù che non ha paura della felicità. E i suoi discepoli con lui. Gesù è felice perché la luce è un sintomo, il sintomo che lui, il rabbi di Nazaret, sta camminando bene, verso il volto di Dio; e poi perché si sente amato dal Padre, sente le parole che ogni figlio vorrebbe sentirsi dire; ed è felice perché sta parlando dei suoi sogni con i più grandi sognatori della Bibbia, Mosè ed Elia, il liberatore e il profeta; perché ha vicino tre ragazzi che non capiscono granché, ma che comunque gli vogliono bene, e lo seguono da anni, dappertutto.Anche i tre apostoli guardano, si emozionano, sono storditi, sentono l’urto della felicità e della bellezza sul monte, qualcosa che toglie il fiato: che bello con te, rabbi! Vedono volti imbevuti di luce, occhi di sole, quello che anche noi notiamo in una persona felice: ti brillano gli occhi! Vorrebbero congelare quella esperienza, la più bella mai vissuta: facciamo tre capanne! Fermiamoci qui sul monte, è un momento perfetto, il massimo! C’è un Dio da godere, da esserne felici. Ma è un’illusione breve, la vita non la puoi fermare, la vita è infinita e l’infinito è nella vita, ordinaria, feriale, fragile e sempre incamminata. La felicità non la puoi conservare sotto una campana di vetro o rinchiudere dentro una capanna. Quando ti è data, miracolo intermittente, godila senza timori, è una carezza di Dio, uno scampolo di risurrezione, una tessera di vita realizzata. Godi e ringrazia. E quando la luce svanisce e se ne va, lasciala andare, senza rimpianti, scendi dal monte ma non dimenticarlo, conserva e custodisci la memoria della luce vissuta. Così sarà per i discepoli quando tutto si farà buio, quando il loro Maestro sarà preso, incatenato, deriso, spogliato, torturato, crocifisso. Come loro, anche per noi nei nostri inverni, sarà necessario cercare negli archivi dell’anima le tracce della luce, la memoria del sole per appoggiarvi il cuore e la fede. Dall’oblio discende la notte.

“Fratelli tutti”: un impegno comune Vi invito, pertanto, ad avvalervi della lettura, meditata e attualizzata, della recente enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”, quale comune impegno quaresimale, aiutati anche da schede di approfondimento e da occasioni di confronto, proposte dai nostri uffici diocesani. Per costruire una vera fraternità occorre partire dalla consapevolezza che viviamo in un mondo senza frontiere e che in questa situazione la vera fratellanza è una esigenza ineludibile. “Ci chineremo per toccare e guarire le ferite degli altri?. Comunicare i segni di rinascita Un altro modo per sentirci in comunione di intenti tra noi, tra gli sconvolgimenti e le incertezze che sperimentiamo, è quello di trasmetterci reciprocamente quelle belle “iniziative di carità” che, come singoli e come parrocchie, stiamo realizzando, illustrate da molteplici esempi concreti. Potranno essere segnalate e commentate sul nostro “Settimanale” nelle settimane di Quaresima e di Pasqua.Tutti, inoltre, abbiamo il compito di preparare la Chiesa di domani, a partire da nuove possibilità ancora inesplorate, ma che possono diventare nuove vie di comunione e di evangelizzazione, proprio come frutto di questi mesi. E’ bello sentirsi Chiesa che cerca insieme le risposte alle domande suscitate dal tempo della pandemia, una Chiesa che si fa compagna di strada con tutti coloro che ricercano la verità, che si interrogano sul significato della vita e della morte, temi che facilmente emergono e per i quali i cristiani devono poter offrire significative riflessioni. E’ utile comunicarci, quale dono offerto umilmente a tutti, quei “segni di speranza” che come fratelli nella fede possiamo valorizzare. Essi possono incoraggiarci nel promuovere, nel nostro vissuto personale e comunitario, scelte di solidarietà e di amicizia sociale, gesti di vicinanza e di fraternità, nei confronti degli anziani, dei malati o delle persone sole, dei bambini, di gente senza casa, di migranti, o di famiglie in difficoltà, ecc… La comunicazione di queste “buone opere” ci aiuteranno a scoprire nuovi modi di vivere il Vangelo dopo la pandemia, ci permetteranno di “aprirci gli occhi” su tante possibili nuove vie di evangelizzazione che questo tempo ci dischiude, spesso a nostra insaputa. Sarà così possibile passare dalla “cultura della crisi”, dettata dalla emergenza, alla “cultura della progettualità”, un utile e qualificato servizio anche al Sinodo sulla Misericordia, proprio nel momento in cui stiamo raccogliendo le diverse e sempre nuove “testimonianze di vita evangelica” da proporre nel nostro cammino di   Chiesa, per i prossimi anni. Non possiamo dimenticare quanto ha auspicato il Papa a Firenze, nel 2015: “Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”. Prendersi cura delle nostre Missioni Infine, come è tradizione nella nostra Diocesi, la Quaresima è una stagione liturgica in cui sottolineare con maggiore evidenza e incisività la vita della nostra attuale Missione in Perù e prossimamente in Mozambico. Potremo così aiutare i nostri missionari ad accompagnare e sostenere spiritualmente ed economicamente i membri di quella Chiesa, già in estrema povertà, ma aggravata dalla crisi pandemica. Se avremo riconosciuto la forza dell’amore di Dio, nella nostra vita personale e comunitaria, non potremo fare a meno di condividere ciò che abbiamo visto e sperimentato. Vi auguro, dunque, un operoso cammino quaresimale, accompagnato dal Signore Gesù, che ci ama e continua a dare la vita per noi, perché possiamo impegnarci, a nostra volta, a dare la vita per Lui e per i nostri fratelli, particolarmente i poveri, nei quali Egli ama identificarsi.    Vescovo Oscar (per Quaresima)

25 febbraio 2021, parrocchiadiprestino