La Parola della Domenica 22 novembre

La Parola della Domenica 22 novembre

i cambiamenti nel nuovo Messale

. confesso a Dio onnipotente e a Voi, fratelli e sorelle, (si ripete allo stesso modo successivamente)

. Gloria a Dio nellalto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore

. al Padre nostro: come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. E non abbandonarci alla tentazione

. prima della Comunione il sacerdote: Ecco lAgnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dellAgnello (si risponde al solito: O Signore, non sono degno)

Dal libro del profeta Ezechièle Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia. A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

Dal Vangelo secondo Matteo In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete ineredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

È una scena potente, drammatica che noi siamo soliti chiamare il giudizio universale. Ma che sarebbe più esatto definirerivelazione della verità ultima, sull’uomo e sulla vita”. Che cosa resta della nostra persona quando non rimane più niente? Resta l’amore, dato e ricevuto. Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere: e tu mi hai aiutato. 6 passi di un percorso, dove la sostanza della vita ha nome amore, forma dell’uomo, forma di Dio, forma del vivere. 6 passi per incamminarci verso il Regno, la terra come Dio la sogna. E per intuire tratti nuovi del volto di Dio, così belli da incantarmi ogni volta di nuovo. Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini da arrivare fino a identificarsi con loro: l’avete fatto a me. Il povero è come Dio! Corpo di Dio, carne di Dio sono i piccoli. Quando tocchi un povero è Lui che tocchi. Poi emerge l’argomento attorno al quale si tesse l’ultima rivelazione: il bene, fatto o non . confesso a Dio onnipotetenfatto. Nella memoria di Dio non c‘è spazio per i nostri peccati, ma solo per i gesti di bontà e per le lacrime. Perché il male non è rivelatore, mai, né di Dio né dell’uomo. È solo il bene che dice la verità di una persona. Per Dio il buon grano è più importante e più vero della zizzania, la luce vale più del buio, il bene pesa più del male. Dio non spreca né la nostrastoria né tantomeno la sua eternità facendo il guardiano dei peccati o delle ombre: per lui non va perduto uno solo dei più piccoli gesti buoni, non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza, ma tutto questo circola nelle vene del mondo come una energia di vita, adesso e per l’eternità. Poi dirà agli altri: Via, lontano da me… tutto quello che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l’avete fatto a me. Gli allontanati da Dio che male hanno fatto? Non aggiungere male a male, il loro peccato è il più grave, è l’omissione: non hanno fatto il bene, non hanno dato nulla alla vita. Non basta dire: io non ho mai fatto del male a nessuno. Perché si fa del male anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, restando a guardare, è già farsi complici del male comune, della corruzione, è la “globalizzazione dell’indifferenza”. Ciò che accade nell’ultimo giorno mostra che la vera alternativa non è tra chi frequenta le chiese e chi non ci va, ma tra chi si ferma accanto all’uomo bastonato e a terra, e chi invece tira dritto; tra chi spezza il pane e chi si gira dall’altra parte, e passa oltre. Ma oltre l’uomo non c’è nulla, tantomeno il Regno di Dio

Imparare a prendersi cura La lezione della fragilità non consiglial’atteggiamento difensivo che allontana gli altri, ma piuttosto la sollecitudine premurosa della comunità in cui i fratelli e le sorelle si prendono cura gli uni degli altri. Abbiamo imparato e dobbiamo imparare che la delega delle cure alle istituzioni e alle professionalità specializzate non può essere un alibi. La fraternità ci chiede quella forma di prossimità che coinvolge personalmente in relazioni di aiuto, in legami affettuosi, in parole di conforto e di testimonianza. Non parliamo qui di principi astratti da ribadire, ma dello stupefacente spettacolo della solidarietà che è stato offerto a tutti nel momento dell’emergenza. I professionisti e i volontari, le associazioni e i singoli, i familiari e i vicini di casa, il personale degli ospedali e le diverse espressioni della comunità cristiana e della società civile hanno provveduto con dedizione disinteressata e non senza sacrificio perché nessuno fosse solo, nessuno fosse abbandonato. Con l’aiuto di Dio abbiamo potuto realizzare molte cose. Sappiamo anche quanto non siamo riusciti a fare e di quanto siamo chiamati a costruire. Per quanto siano numerosi i segni della solidarietà, per quanto sia estenuante la sollecitudine per i bisogni emergenti, non possiamo sottrarci alla domanda che ci impone di avere uno sguardo più ampio, un senso delle proporzioni più realistico, una magnanimità più intelligente. E la domanda è: e gli altri? E gli altri popoli? E gli altri paesi? Chi si prende cura dei malati dei paesi poveri? Chi si prende cura delle epidemie che devastano il pianeta e sembrano così lontane? Imparare a prendersi cura gli uni degli altri non è un principio altisonante e retorico, ma la proposta di praticare il gesto minimo che dà volto di fraternità alla società, che coltiva l’arte del buon vicinato, che vive la professione e il tempo libero come occasioni per servire al bene comune. Ciascuno trova la sua sicurezza non nell’isolamento, ma nella solidarietà. Imparare a prendersi cura gli uni degli altri è anche un programma di resistenza contro le forme di disgregazione insinuate dalle seduzioni dell’individualismo, dell’indifferenza, dell’interesse di parte, dagli interessi di quel capitalismo senza volto e senza moraleche vuole ridurre le persone a consumatori, le prestazioni sanitarie e assistenziali a investimenti, l’intero pianeta a fonte di guadagni praticando uno sfruttamento scriteriato. Noi vorremmo giungesse a tutti questa parola amica, questo invito a riprendere la vita dellecomunità con l’ardore di chi continua la missione che il Signore ha affidato ai suoi discepoli, con la sapienza di chi continua ad applicarsi per imparare a pregare, imparare a pensare, imparare a sperare, imparare a prendersi cura gli uni degli altri. Per tutti invochiamo la benedizione di Dio. L’intercessione di Maria, Madonna di Caravaggio, ci ottenga serenità, fortezza, creatività e gioia.

20 novembre 2020, parrocchiadiprestino