La Parola della Domenica 27 settembre

La Parola della Domenica 27 settembre

Dal libro del profeta Ezechièle Così dice il Signore: «Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi.
Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascu
no di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.
Abb
iate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù.

Dal Vangelo secondo Matteo In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Mise sotto-sopra il mondo con un pugno di storie: quasi banali, quotidiane, alla portata dei cervelli che, nel suo peregrinare, Gli chiedevano lumi sul Cielo e sui suoi misteriosi intrecci. Quanti – tra tutti coloro che ebbero grazia di udirle in diretta – gli diedero retta, ebbero chiara la percezione che quell’Uomo Nazareno aveva raccontato delle storie perché, tenendole cucite assieme, apparisse loro quale fisionomia avesse il Regno dei Cieli. Altri non vollero capirle, affari-loro: non fu per difetto d’udito bensì per coraggio difettoso, cioè per paura. La paura più arcana, quella che atterrisce gli umani, pancia a terra: dover ammettere che quelle storielle narrano di me, dicono dell’uomo. Storie odiosissime per Satana perché mortali per lui: «Incomincio a capire che vi possa essere gente cui torni piacevole che Gesù sia un fantasma (…) Per un segreto inconfessato desiderio di non ritrovarselo vicino, neanche sulla strada del passato» (P. Mazzolari). Le storie di Cristo, per accendersi, hanno sempre bisogno di un padre. Per svilupparsi, poi, hanno urgenza che questo padre abbia almeno-almeno messo al mondo due figli. Nei Vangeli non ci può essere gioia se non c’è alternanza: possibilità d’andare, di restare, di rincasare. Figli allevati alla stessa scuola, che nell’età adulta, imboccano strade in-opposizione. «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna». Che vada in-malora il mondo: di un padre così «non ne ho voglia». Tutt’al più, il trucco per farlo stare buono esiste. Un padre amico-del-figlio è sempre garanzia di comodità: «”Sì, signore”. Ma non vi andò». Capita che il primo poi ci ripensi: «Si pentì e vi andò». L’altro, il bambino tutto educato, mica si pente: è ancora convinto che basti aver tirato su la facciata per avere l’abitabilità della sua casa. I suoi fans mica capiscono che, tolti i peccatori-disobbedienti, i Vangeli si sbriciolano, son carta-straccia, un pugno di sabbia. Sempre così, come nei film d’interpretazione: per riuscire ad interpretare in maniera sublime un grande santo, occorre la coscienza d’esser stati altrettanto grandi-peccatori. Mai-arresi. E’ la più bella eresia di chi dà retta al Cristo: ogni tanto occorre sbatterGli la porta in faccia per ritrovare la magia della sua affettuosa presenza: “Non ci vado: non m’interessi più”. Conta fino a tre, tanto poi: “Scusa, papà, ci ho ripensato. Vado”. E’ un gran narratore Cristo: siccome conosce a menadito l’uomo – per trent’anni ha fatto pure Lui il figlio. A fine parabola – «Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?» – confonde le carte in tavola, prendendo per il bavero il cuore e mettendo cuore-lettore spalle al muro: “Parlo di me e di te da soli, hai capito?” Pazzesco: non c’erano due figli nella storia, c’erano i miei due modi di rispondere a Papà. Ero sempre io, lo stesso soggetto: nelle stagioni in cui a casa si sta bene, nelle sere in cui a casa il clima con papà sembra essere diventato irrespirabile. Un solo Padre, tanti modi d’essergli figlio.

Con Dio, due cuori e una capanna. In uno dei due, quello mio, stanno in affitto altri due cuori: «Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, si interrogano a vicenda, si rimandano continuamente interrogazioni pungenti e inquietanti l’uno all’altro». Dico-sì tanto poi non vado. Dico-no però poi ci ripenso, io ci vado a lavorare con papà: «Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa» (C. M. Martini). Così vanno sempre a finire le storie inventate di sana-pianta da Cristo, traendo ispirazione dagli sguardi che Lo incrociano: «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio». La prima fila sbattuta in ultima, l’ultima portata sul palco. È promemoria di come ragioni Dio: tanto per non confondersi.

Come Gesù Cristo, costretti a fuggire
Accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli sfollati interni

All’inizio di questo anno ho annoverato tra le sfide del mondo contemporaneo il dramma degli sfollati interni: «Le conflittualità e le emergenze umanitarie, aggravate dagli sconvolgimenti climatici, aumentano il numero di sfollati e si ripercuotono sulle persone che già vivono in stato di grave povertà. Molti dei Paesi colpiti da queste situazioni mancano di strutture adeguate che consentano di venire incontro ai bisogni di quanti sono stati sfollati» (9 gennaio 2020) Per tali ragioni ho deciso di dedicare questo Messaggio al dramma degli sfollati interni, un dramma spesso invisibile, che la crisi mondiale causata dalla pandemia COVID-19 ha esasperato. Questa crisi, infatti, per la sua veemenza, gravità ed estensione geografica, ha ridimensionato tante altre emergenze umanitarie che affliggono milioni di persone, relegando iniziative e aiuti internazionali, essenziali e urgenti per salvare vite umane, in fondo alle agende politiche nazionali. Ma «non è questo il tempo della dimenticanza. La crisi che stiamo affrontando non ci faccia dimenticare tante altre emergenze che portano con sé i patimenti di molte persone»

Alla luce dei tragici eventi che hanno segnato il 2020, estendo questo Messaggio, dedicato agli sfollati interni, a tutti coloro che si sono trovati a vivere e tuttora vivono esperienze di precarietà, di abbandono, di emarginazione e di rifiuto a causa del COVID-19 Nella fuga in Egitto il piccolo Gesù sperimenta, assieme ai suoi genitori, la tragica condizione di sfollato e profugo «segnata da paura, incertezza, disagi (cfr Mt 2,13-15.19-23). Purtroppo, ai nostri giorni, milioni di famiglie possono riconoscersi in questa triste realtà. Quasi ogni giorno la televisione e i giornali danno notizie di profughi che fuggono dalla fame, dalla guerra, da altri pericoli gravi, alla ricerca di sicurezza e di una vita dignitosa per sé e per le proprie famiglie». In ciascuno di loro è presente Gesù, costretto, come ai tempi di Erode, a fuggire per salvarsi. Nei loro volti siamo chiamati a riconoscere il volto del Cristo affamato, assetato, nudo, malato, forestiero e carcerato che ci interpella (cfr Mt 25,31-46). Se lo riconosciamo, saremo noi a ringraziarlo per averlo potuto incontrare, amare e servire. Le persone sfollate ci offrono questa opportunità di incontro con il Signore, «anche se i nostri occhi fanno fatica a riconoscerlo: coi vestiti rotti, con i piedisporchi, col volto deformato, il corpo piagato, incapace di parlare la nostra lingua». Si tratta di una sfida pastorale alla quale siamo chiamati a rispondere con i quattro verbi che ho indicato nel Messaggio per questa stessa Giornata nel 2018: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Ad essi vorrei ora aggiungere sei coppie di verbi che corrispondono ad azioni molto concrete, legate tra loro in una relazione di causa-effetto.Bisogna conoscere per comprendere. La conoscenza è un passo necessario verso la comprensione dell’altro. Lo insegna Gesù stesso nell’episodio dei discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,15-16). Quando si parla di migranti e di sfollati troppo spesso ci si ferma ai numeri. Ma non si tratta di numeri, si tratta di persone! Se le incontriamo arriveremo a conoscerle. E conoscendo le loro storie riusciremo a comprendere. Potremo comprendere, per esempio, che quella precarietà che abbiamo sperimentato con sofferenza a causa della pandemia è un elemento costante della vita degli sfollati.

25 settembre 2020, parrocchiadiprestino