La Parola della Domenica – 22 dicembre

La Parola della Domenica – 22 dicembre

O Dio, Padre buono, tu hai rivelato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della Vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della vita: concedi anche a noi
di accoglierlo e generarlo nello spirito con l’ascolto della tua parola,
nell’obbedienza della fede.

Dal libro del profeta Isaìa In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

Rit: Ecco, viene il Signore, re della gloria.

Dalla lettera ai Romani: Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

+ Dal Vangelo secondo Matteo Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
L’albero genealogico di Giuseppe presenta una strada infestata di criminali, di prostitute, di tradimenti. La Grazia dovette procedere a zig-zag, come su di una strada interrotta: nessun peccato è stato in grado, però, di arrestare il sacro assalto della misericordia. Nessuna storia, per quanto riguarda crimini e criminali, la potrà un giorno bilanciare: «La genealogia carnale di Gesù è spaventosa. Pochi uomini hanno forse avuto tanti antenati criminali, così criminali. Così carnalmente criminali» (C. Pèguy). Il peccato è una sottrazione della grazia; Giuseppe – in lingua ebraica: “Colui che aggiunge” – è il riparatore di una storia sfilacciata, di una grazia dissipata. Il suo è uno dei quattro mestieri sacri: contadino, muratore, falegname e, appunto, carpentiere. Certamente: esistono i missili che si guidano dal divano, le bombe intelligenti, i carri-armati ultima generazione. Dio quando decide di far la guerra al peccato, però, usa sempre le cose che fanno meno chiasso di tutte: a Gerico le trombe, con Golia bastò Davide, a Nazareth la sorte cadde su Giuseppe. Che, dentro la dinastia, era rimasto l’unico vergine. Di più: «Era un uomo giusto» (Mt 1,18-24). Gli uomini giusti, nella Scrittura, sanno riparare dove tutti intonano la solita litania: “Costa meno comprarne uno nuovo”. Uno sgabello, una storia d’amore: «Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo». Non esiste bellezza che non conosca complicazione, Giuseppe: “Torna a casa tua, Maria. Vattene in silenzio, che nessuno ti offenda. Ti vorrò bene per tutta la vita”. Licenziarla in segreto: a Giuseppe non importa quanto si vince o quanto si perde. Ad importare, all’uomo giusto, è come si vince e come si perde: lui, da parte sua, rimane un signore anche nell’oscurità più buia. Abita la sofferenza di chi, sentendo scorticarsi l’anima, ha scoperto la debolezza della creatura che pensava fosse la migliore. Accetta, anche, d’essere lapidato lui – “Non è uomo uno che reagisce così. Ha infranto la legge, guardate l’adultera” – pur di mettere in protezione la sua Maria. Che, in disparte, attende l’intervento del Cielo: non sarebbe Dio se si scordasse le promesse: «Non temere, Maria». A Nazareth le era stata data un’avvisaglia: l’annunciazione dell’angelo a Maria. In cantiere, già allora, c’era anche l’annunciazione dell’angelo a lui: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria come tua sposa». Quella di Matteo è la storia di un raddoppio-di-annunciazioni, di doppia consolazione: “Non temere, Maria. Neanche tu, Giuseppe”. Anche per lui varrà la benedizione di Elisabetta a Maria: «Beata te che hai creduto». Sognare è sporgersi laddove altri hanno affisso un cartello con scritto: “Vietato sporgersi”. Maria, per credere, si è sporta sull’onnipotenza di Dio: materia che non tradisce. Giuseppe, la sua fede l’ha costruita sporgendosi fin sul ciglio della fragilità di una creatura.
Nacque per essere il padre-secondo di Cristo: ci sono alcuni secondi-posti che valgono una vittoria. Poi, con atto di fede, firmò la carriera più imbarazzante che il mondo abbia mai conosciuto: aiutò Cristo a inserirsi-bene dentro il paese di Betlemme, uomo tra gli uomini, cittadino del mondo, soggetto alle leggi dello stato, a quelle di Dio. Tra la grotta di Betlemme e la Croce del Calvario splende la bottega di Nazareth, il domicilio di Giuseppe, di Maria. La prima residenza del Cristo, quella più lunga per numero di stagioni
, per silenzio. Trascorse 30 anni fidandosi di loro due che – quasi insulto al buon senso – Lo avevano per Figlio e, contemporaneamente, per Padre. La Trinità-di-Nazareth è una storia a lieto fine, grazie a Giuseppe. Ancora oggi l’unico che, senza correre il rischio di esagerare, possa dire d’avere avuto Dio come garzone di bottega: nessuno ha il diritto di comandare se prima non ha imparato ad obbedire. Nemmeno Cristo

Papa Francesco: bisogna “custodire il cuore, perché non diventi una piazza dove vanno e vengono tutti tranne il Signore”.  ESAME DI COSCIENZA Consiste nell’interrogarsi sul male commesso e il bene omesso: verso Dio, il prossimo e se stessi. Nei confronti di Dio Mi rivolgo a Dio solo nel bisogno? Partecipo alla Messa la domenica e le feste di precetto? Comincio e chiudo la giornata con la preghiera? Ho nominato invano Dio, la Vergine, i Santi? Mi sono vergognato di dimostrarmi cristiano? Cosa faccio per crescere spiritualmente? Come? Quando? Mi ribello davanti ai disegni di Dio? Pretendo che egli compia la mia volontà? Nei confronti del prossimo So perdonare, compatire, aiutare il prossimo? Ho calunniato, rubato, disprezzato i piccoli e gli indifesi? Sono invidioso, collerico, parziale? Ho cura dei poveri e dei malati? Mi vergogno della carne di mio fratello, della mia sorella? Sono onesto e giusto con tutti o alimento la “cultura dello scarto”? Ho istigato altri a fare il male? Osservo la morale coniugale e familiare insegnata dal Vangelo? Come vivo le responsabilità educative verso i figli? Onoro e rispetto i miei genitori? Ho rifiutato la vita appena concepita? Ho spento il dono della vita? Ho aiutato a farlo? Rispetto l’ambiente? Nei confronti di sé Sono un po’ mondano e un po’ credente? Esagero nel mangiare, bere, fumare, divertirmi? Mi preoccupo troppo della salute fisica, dei miei beni? Come uso il mio tempo? Sono pigro? Voglio essere servito? Amo e coltivo la purezza di cuore, di pensieri e di azioni? Medito vendette, nutro rancori? Sono mite, umile, costruttore di pace?

20 dicembre 2019, parrocchiadiprestino