La Parola della Domenica 29 settembre

La Parola della Domenica 29 settembre

O Dio, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone; stabilisci con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all’orgia degli spensierati, e fa’ che aderiamo in tempo alla tua Parola, per credere che il tuo Cristo è risorto dai morti e ci accoglierà nel tuo regno.

Dal libro del profeta Amos. Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti.

Loda il Signore, anima mia.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo. Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio, il beato e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre.

+ Dal Vangelo secondo Luca. In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche
se uno risorgesse dai morti”».
La premessa fu compito della Madre annunciarla al mondo, appena dopo la grande Annunciazione a lei. Era così d’intrigo quel rovesciamento, che si fece addirittura canto, nel Magnificat: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,52). Pochi, allora, s’accorsero ch’era la premessa paradossale della storia più ambiziosa. Il Figlio, quando decise col Padre di rimettere mano al mondo, ripartì da quella premessa e la fece diventare una promessa. Per dire al mondo che così ragiona il Padre, proprio come annunciò la Madre. Disse – e lo disse a modo suo, appellandosi alla maestria d’una parabola – che il Pater noster era un Dio politicamente-scorretto, sfrontatamente schierato. Che lascia senza nome i ricchi – «C’era un uomo ricco che ogni giorno si dava a lauti banchetti» -, mentre i poveri li chiama per nome: «Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco» (Lc 16,19-31). Lazzaro è il nome dell’amico suo: l’alloggio di Betania, il confidente delle serate trascorse assieme, la carne-resuscitata. I poveri, nel cuore di Cristo, hanno tutti nome Lazzaro, il nome della sua amicizia prediletta: «Prediligere non vuol dire amare di più, amare di meno – scrisse don Primo Mazzolari -, ma amare secondo una regola o un criterio, non di maggior merito, ma di maggior bisogno». Una vecchia premessa, una nuova promessa. Il tempo, nei Vangeli, è un qualcosa che non passa-mai. Il tempo resta, è l’uomo che passa: «Un giorno il povero morì. Morì anche il ricco e fu sepolto». Il tempo è sempre puntuale nel farci capire molte cose in evidente ritardo. Una su tutte: che la premessa – il mondo finirà gambe-all’aria – muterà in promessa, la promessa verrà mantenuta. Il ricco a capitolare giù negli inferi, Lazzaro dritto in seno ad Abramo. Con l’altro a rimpiangere: “Abbi pietà di me, toccami con un dito che ardo, manda qualcuno a casa ad avvisare”. Rimpiangereil tempo sprecato, nei Vangeli è tempo sprecato: quell’abisso che sta nel frammezzo – «Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso» – era il medesimo che c’era in vita tra il ricco e il povero. Quell’abisso, che arreca così grande affanno, rimane: non è stato Dio a crearlo, nemmeno a volerlo. Dunque rimane. Ciò che sarà di noi nell’eternità, è ciò che stiamo scegliendo ora, nel mezzo di questa dannata-vita: «Quando si lotta contro il momento presente, in realtà si lotta contro l’intero universo» (D. Chopra). Forse qualcuno ci avrà catechizzato il contrario: “Attento che andrai all’inferno!”. La verità, invece, è una questione declinata al tempo presente, non al futuro: all’Inferno non si andrà nel giorno di domani, si deciderà oggi se andarci o meno, se starci oppure no. Il tempo degli ultimi richiami, di fronte alla mala-libertà, sarà inutile e Dio non sprecherà più tempo: «Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro». Certi sordi, però, non voglion affatto ascoltare.
Una storiella per terrorizzare i ricchi? “Attenzione che se non buttate via i soldi andrete tutti laggiù?” Un pretesto per tenere a bada i poveri? “Pazientate, un giorno faremo la rivincita e li manderemo gambe all’aria”. A fregare il ricco fu il menefreghismo, mica la ricchezza: Cristo, a conti fatti, teneva degli amici come Giuseppe d’Arimatea che eran ricchi-sfondati. A salvare il povero, non fu la voglia di rivincita: a salvarlo fu la sua strenua certezza che Dio era affidabile, che la premessa sarebbe divenuta promessa, una promessa-mantenuta. E’ una storia, dunque, per chi è ricco e per chi è povero, per chi sta dalla parte di Dio e chi di Lucifero, per chi nasce dritto e per chi nasce storto. Una segnaletica che, quaggiù, avvisa di lavori-in-corso: “Fate attenzione, gli umani stanno decidendo cosa sarà di loro domattina. Non distraeteli”. Aiutateli: «Alice: “Per quanto tempo è per sempre? Bianconiglio: “A volte, solo un secondo» (L. Carrol). Ogni secondo dura un’iradiddio di tempo: in esso, gente, ci stiamo giocando l’Eterno. Questa è la storia del Dio politicamente-scorretto. Schierato coi poveri: mai abbiamo avuto così poco tempo per fare così tanto. Per decidere oggi, nell’effimero, cosa sarà di noi: nell’eterno. Per sempre.

 

27 settembre 2019, parrocchiadiprestino