Il nuovo allarme sulla Terra è lo sboom della popolazione

Il nuovo allarme sulla Terra è lo sboom della popolazione

Nei fumetti e nella fantasia i supereroi combattono sempre per difendere la popolazione e la Terra dai cattivi o dagli invasori. Nel film Avengers – the Infinity War, uscito nel 2018, il conflitto tra il bene e il male riesce invece a suscitare nello spettatore qualche dubbio prima di stabilire che il Cattivo, l’orribile Thanos, stia veramente facendo la cosa sbagliata. La sua lotta contro i supereroi, infatti, è sostenuta da quello che decenni di malthusianesimo hanno contribuito a far apparire come un obiettivo sano e accettato: salvare il mondo dal sovrappopolamento. Quasi una “giusta causa”, insomma, se non fosse che il prezzo da pagare prevede di sterminare la metà degli abitanti della Terra, supereroi compresi.

La cosa interessante è il rapido decadimento di questa prospettiva, ben prima dell’uscita del sequel: oggi la grande emergenza planetaria non è più la crescita della popolazione mondiale, ma la sua implosione. Dopo anni di previsioni apocalittiche si sta facendo largo la convinzione che i calcoli vadano rifatti: probabilmente la Terra non raggiungerà nel 2100 quegli 1113 miliardi di abitanti che l’Onu aveva previsto come scenario estremo, ma per quella data si sarà già tornati al livello odierno di 7 miliardi e rotti, dopo un picco di 9 miliardi a metà percorso. Previsioni di questo tipo sono difficili da maneggiare. E anche per quanto riguarda gli effetti si può discutere a lungo: se c’è chi sostiene che più persone sul pianeta aumentano in modo drammatico la pressione sulle risorse disponibili è anche vero che più intelligenze all’opera possono individuare soluzioni innovative. Lo stesso problema del riscaldamento globale è più una questione di tecnologie e modelli di sviluppo che di numero di abitanti della Terra e di consumo di risorse. U no dei contributi più decisi al ribaltamento del modo in cui si è sempre guardato all’emergenza demografica planetaria si deve a un libro uscito da poco, Empty Planet-The shock of Global population decline di John Ibbitson e Darrell Bricker. Il passaggio dalla prospettiva di un mondo che esplode a quello di un ‘pianeta vuoto’ si deve in buona parte all’avanzamento più rapido del previsto dell’urbanizzazione, con gli effetti che questo ha sulla fecondità. Per la prima volta nella storia del genere umano, notano gli autori, nel 2007 più della metà degli abitanti del globo viveva ormai in città. Oggi la percentuale è già salita al 55% e tra un trentennio si prevede arrivi al 66%. La vita urbana, così come un maggiore tasso di sviluppo, tende a ridurre il numero di figli a causa dell’aumento degli anni di studio, dell’organizzazione del lavoro, delle esigenze economiche delle coppie, dei mutamenti culturali o anche di fattori come lo smog, lo stress e comportamenti che riducono la potenzialità riproduttiva.

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14 febbraio 2019, luigi-clerici