La Parola della Domenica – 10 febbraio

La Parola della Domenica – 10 febbraio

Dio di infinita grandezza, che affidi alle nostre labbra impure e alle nostre fragili mani il compito di portare agli uomini l’annunzio del Vangelo, sostienici con il tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra.

Dal libro del profeta Isaia Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».

    
Salmo
Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria.

   

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

Dal vangelo secondo Luca In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

La liturgia di oggi presenta il tema fondamentale della chiamata al servizio di Dio. Isaia narra la sua vocazione: il Creatore gli si rivela e gli chiede disponibilità al suo servizio; il giovane profeta dà l’assenso alla chiamata, rendendosi pronto alla missione che Dio gli indica: “Eccomi, manda me”. Paolo, nella lettera ai Corinzi, descrive la sua missione, nella quale presenta la vicenda di Gesù morto e risorto. Missione che ha “ricevuto”, “ultimo fra tutti”, da Cristo che gli è apparso. E aggiunge: “Per grazia di Dio sono quello che sono…”.

Luca narra la chiamata dei primi apostoli: Pietro, che lavora sulla barca con il fratello Andrea (non esplicitamente citato), e gli altri due fratelli, Giovanni e Giacomo, soci dei primi due nel lavoro di pescatori. Gesù chiede loro di accoglierlo su una barca e da lì insegna alle folle. Il brano non dice nulla sulla predica di Gesù. Sottolinea invece il “dopo”: Gesù invita i quattro a pescare; questi seppure stanchi per la fatica di una notte senza frutto, aderiscono alla richiesta di Gesù, fidandosi della sua parola. Accade l’imprevisto: la pesca miracolosa, inizio della rivelazione della messianicità di Gesù, che fa nascere in loro, a partire da Simone, la fede in Lui, che nasce dallo “stupore” per quello che è avvenuto in virtù della sua parola. Pietro si sente peccatore e si dichiara indegno di stare vicino al Signore. Ma Gesù lo invita a “non temere” e lo assume al suo servizio: sarà “pescatore di uomini”. I quattro pescatori “lasciarono tutto e lo seguirono”. Un messaggio semplice e immediato: Gesù chiama. La vita del cristiano è vocazione per la missione. Dio vuole salvare gli uomini servendosi di altri uomini che collaborino con la sua opera. Ogni vocazione è, allo stesso tempo, missione, servizio per il regno di Dio. Vale per Isaia, come per gli apostoli e per Paolo, ma anche per tutti i cristiani. Non si è cristiani perché si fa qualche opera buona o perché si evita il peccato, genericamente. Si è cristiani perché si entra nel progetto di salvezza del Signore, per portare la luce della fede nel mondo, per chiamare altri uomini e donne a mettersi al servizio del regno di Dio. Ogni cristiano è chiamato e mandato: come Isaia, “per” Dio; come gli apostoli, per diventare pescatore di uomini; come Paolo, a faticare per il Vangelo. Isaia e gli apostoli sono chiamati per una missione specifica. Ma tutti i cristiani sono chiamati ad essere portatori del messaggio di Cristo nel mondo con la loro vita. Una missione che, come la pesca degli apostoli, non sempre è facile o umanamente fruttuosa, ma che si deve compiere, basandosi sulla forza della sua parola, come disse Pietro a Gesù, a nome anche degli altri tre pescatori: “Sulla tua parola”.

Sol. Sii benedetto, Signore nostro Dio, che ci chiami a testimoniare,

mediante il Sinodo diocesano, la nostra fede in te

e a proclamare il tuo amore misericordioso,

sempre vivo e ardente verso tutti.

 Sol. Sia il Sinodo della tua Chiesa di Como un impegno

che coinvolga tutti i battezzati, membri del popolo di Dio,

chiamati a trasmettere oggi la gioia di essere discepoli di Cristo,

volto della misericordia del Padre.

 Sol. Sia il Sinodo una prova che manifesti il grado di maturità

della nostra Chiesa, mediante l’ascolto docile della tua Parola,

insieme al confronto leale e al dialogo costruttivo tra di noi,

in vista di scelte coraggiose che lo Spirito Santo susciterà,

a promozione di una cultura della misericordia.

Sol. Sia il Sinodo un segno che confermi la possibilità

di diventare santi nell’oggi di questo mondo

e insieme permetta ai cristiani di diffondere il buon profumo di Cristo, al ritmo della fantasia della misericordia, dimensione centrale e permanente della vita cristiana.

«Tu vedi a che grado di potenza sia giunto l’impero persiano. Se i re miei predecessori avessero avuto idee simili alle tue, tu non avresti visto la potenza persiana così progredita. E invece la portarono a questo punto affrontando rischi: le grandi imprese, infatti, solo a costo di grandi rischi si realizzano. Noi, dunque, ci mettiamo in marcia, e, dopo aver sottomesso tutta l’Europa, torneremo tranquillamente.» Leggiamo in Erodoto, il primo storico dell’umanità, antefatti della guerra che i Persiani intraprendono, per conquistare e distruggere la Grecia e dominare l’Europa, quando già il loro impero occupa tutto il mondo di quel tempo. Serse vuole il dominio assoluto con un’impresa folle, che porterà alla rovina: l’immenso esercito e la spaventosa flotta dei Persiani saranno annullati da un manipolo di Greci eroici e strategicamente geniali. Lo zio Artebano cerca di dissuadere il giovane re sconsiderato: la terra, lo ammonisce, diviene nemica a chi avanza inesorabilmente e senza tregua, a chi la prende senza limiti. E infatti l’impero persiano sarà distrutto, imperatore e armata disfatti in un ritorno disperato. Arroganza, il peccato di Serse: cercare il dominio assoluto sul mondo. Rischio sempre attuale: i Serse di oggi vogliono il dominio sulla coscienza, via informatica, sul corpo umano, via genetica.

7 febbraio 2019, parrocchiadiprestino